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Il Collegio ACF si pronuncia in tema di derivati dopo la sentenza della Suprema Corte, a Sezioni Unite, del 12 maggio 2020, n. 8770

  • Fonte:

    ACF - Arbitro per le Controversie Finanziarie

  • Provvedimento:

    Decisione n. 2678 del 16 giugno 2020

La controversia sottoposta alla cognizione dell’ACF, Arbitro per le Controverse Finanziarie, concerneva il tema del non corretto adempimento, da parte dell’intermediario, degli obblighi concernenti la prestazione di servizi di investimento, e poi segnatamente l’accertamento della nullità di un derivato concluso inter partes.

L’ ACF , con decisione n. 2678 del 16 giugno 2020, nel respingere il ricorso della società ricorrente ha affermato, tra l’altro, che è “infondata, infine, anche la tesi secondo cui la mancata indicazione del Mark to Market e degli scenari probabilistici determinerebbe la nullità del derivato. Come quest’Arbitro ha più volte avuto modo di sottolineare il Mark to Market esprime solo il valore del contratto in un determinato momento storico, sicché la sua mancata indicazione non si riflette né sull’oggetto del contratto – che resta pienamente determinato – e neppure si traduce in un vizio della causa dello stesso. Secondo il Collegio non vi sono motivi per discostarsi da questo orientamento, neppure alla luce della recentissima pronuncia delle Sezioni Unite dell’8 maggio 2020, n. 8770. Se è vero, infatti, che la Suprema Corte, in passaggio della motivazione, ragionando dei «problemi generali della determinatezza (o determinabilità) dell’oggetto del contratto» assume che esso richieda «sia l’indicazione del Mark to Market, sia l’indicazione degli scenari probabilistici, sia dei costi occulti», vero è anche che la sentenza in questione ha una portata obiettivamente circoscritta ad un problema specifico: ossia, come rende palese anche la regula iuris affermata al § 9.8, quello di stabilire i limiti entro cui agli Enti locali è possibile stipulare derivati di copertura. Insomma, sotto questo profilo la sottolineatura compiuta dalla Cassazione in ordine al fatto che la necessaria presenza degli elementi indicati è strumentale «allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l’ente di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto costituente una rilevante disarmonia nell’ambito delle regole relative alla contabilità pubblica, introduttiva di variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa riportati in bilancio» appare obiettivamente espressiva del fatto che la regola di validità enucleata dalla Corte si inscriva rigorosamente nel contesto di una più generale ricostruzione dei limiti posti all’esercizio dell’autonomia negoziale degli Enti locali, e alla possibilità di concludere contratti aleatori, sicché essa non sembra possa essere esportata al di fuori di quello specifico contesto, e poi al fine di stabilire un limite generale di validità all’agire negoziale dei privati, e soprattutto (come era nel caso per cui è controversia) di società di capitali. D’altronde, se l’indicazione del Mark to Market e degli scenari probabilistici è funzionale solo a rendere consapevole il contraente dell’aleatorietà dello strumento è evidente che – là dove non si ponga anche un problema di compatibilità con le regole di contabilità pubblica e con i limiti agli impegni di spesa propri degli enti pubblici – la mancanza della loro indicazione possa al più far sorgere un problema di consenso non integro, da ricondurre dunque alla tematica più generale dei vizi del consenso e dare ingresso ai conseguenti rimedi, ma non certo un problema di illiceità della causa o di indeterminatezza dell’oggetto contrattuale tale da condurre alla nullità dell’operazione.”.  

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