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Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione chiariscono quando ricorre la nullità dei contratti in strumenti finanziari derivati sottoscritti da Enti locali.

  • Fonte:

    Nuovo Quotidiano di Puglia

  • Autore:

    Giorgio Mantovano

  • Provvedimento:

    Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n.8770 del 12 maggio 2020

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione chiariscono quando ricorre la nullità dei contratti in strumenti finanziari derivati sottoscritti da Enti locali.

Tanto tuonò che piovve. Una recente pronuncia della Corte di Cassazione civile, a Sezioni Unite, la n. 8770 del 12 maggio 2020, ha fissato due dirompenti principi di diritto nel travagliato e annoso contenzioso tra banche ed enti locali in tema di negoziazioni di strumenti finanziari derivati. La vicenda approdata al vaglio dei Giudici di legittimità riguardava alcuni contratti di interest rate swap stipulati dal Comune di Cattolica nel periodo compreso tra il 2003 e il 2004, sulla cui validità si era pronunciata la Corte d’Appello di Bologna, che aveva accolto le doglianze del Comune, dichiarando la nullità e l’inefficacia di quei contratti. La prima sezione civile della Suprema Corte, investita della questione, aveva rilevato che il ricorso svolto dalla Banca poneva due problematiche, strettamente connesse, ritenute centrali per vagliare la validità dei contratti di swap conclusi, in generale, dagli Enti locali: quella di accertare se il derivato, contratto dal Comune, che preveda un premio di liquidità (il cosiddetto up front), generi un indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento; e quella concernente l'individuazione dell'organo chiamato a deliberare un'operazione siffatta. Le questioni menzionate erano state sopposte al vaglio delle Sezioni Unite le quali, nel confermare l’impianto argomentativo della Corte emiliana, hanno affrontato i principali nodi esegetici emersi nel lungo dibattito giurisprudenziale ed hanno elaborato i seguenti principi di diritto.

In primo luogo, la Suprema Corte ha statuito che, in tema di contratti derivati stipulati dai Comuni  sulla base della normativa vigente fino al 2013 (quando la legge n. 147 del 2013 ha escluso la possibilità di farvi ulteriore ricorso), la negoziazione poteva essere ammessa solo a determinate condizioni, ossia che si fosse in presenza di una precisa misurabilità e determinazione  dell'oggetto contrattuale, dovendo le parti condividere sia il criterio per il calcolo del valore teorico del derivato (il cosiddetto mark to market), sia gli scenari probabilistici che la dimensione dei cd. costi occulti. Ciò allo scopo di rendere realmente consapevole l'ente locale di ogni aspetto di aleatorietà dello strumento derivato contrattato.

In secondo luogo, la Corte di Cassazione ha precisato che, ove il derivato negoziato dal Comune avesse inciso, con il premio di liquidità erogato dalla banca - il cosiddetto up front -, sull'entità dell'indebitamento dell'ente, l'operazione avrebbe dovuto, a pena di nullità, essere autorizzata dal Consiglio comunale. Stando ad alcuni primi autorevoli commenti, il potenziale effetto dirompente dei principi espressi dalle Sezioni Unite si coglierebbe sotto più profili. Potrebbero essere rimessi in discussione i contratti attualmente in essere, ma anche quelli chiusi entro dieci anni, nei quali gli Enti potrebbero agire per gli eventuali rimborsi; ed infine quelli cessati da più di dieci anni, ma ancora in contenzioso, potendo sempre essere eccepita, in ogni stato e grado del giudizio, la nullità del titolo su cui si fonda la pretesa avversa. Per le Sezioni unite, lo swap, ossia lo strumento derivato a cui hanno fatto maggiore ricorso gli enti locali, è una scommessa finanziaria che, in quanto espressione di una logica probabilistica, merita tutela solo se si manifesta in maniera razionale. Il che significa necessariamente che, in sede contrattuale, debba esservi tra le parti un accordo sui criteri per misurare l’alea e sul valore teorico di mercato del derivato. Ma anche che siano condivisi tra le parti gli scenari probabilistici. Se tutto ciò manca, la scommessa, intrinseca allo strumento finanziario derivato, perderebbe il suo connotato razionale e diverrebbe priva di utilità sociale e quindi immeritevole di tutela. In altri termini, il derivato non avrebbe causa in concreto e ne conseguirebbe la declaratoria di nullità.  Già in precedenza la Corte Costituzionale aveva sottolineato che, proprio le peculiari caratteristiche di tali strumenti, avevano indotto il legislatore a prevedere nelle contrattazioni in cui fossero parte le regioni e gli enti locali, una specifica normativa per la loro gestione e rinegoziazione, in considerazione di quella spiccata aleatorietà in grado di pregiudicare il complesso delle risorse finanziarie pubbliche. Come è noto, per le Amministrazioni locali erano stati previsti, a partire dal 2001, vincoli normativi sempre più stringenti, al fine di evitare l’assunzione di rischi eccessivi e l’utilizzo improprio dei derivati. Nel giugno del 2008 era stata loro temporaneamente vietata la stipula di nuovi contratti, in attesa di una riforma organica. Il divieto, con talune limitatissime deroghe, era stato reso definitivo dalla legge di stabilità per il 2014. Tuttavia, negli anni precedenti, un impiego dei derivati caratterizzato da non poche opacità aveva innescato un virulento contenzioso tra banche e enti locali. Nella riflessione dottrinale erano comparsi concetti appartenenti all’ingegneria finanziaria, inediti per il giurista e di non facile definizione giuridica, quali, ad esempio, la nozione di mark to market, il concetto di costo implicito e la natura dell’up front. Come ha ben chiarito la Suprema Corte, l'interest rate swap  (da cui l’acronimo IRS) è un derivato cd. over the counter, ossia uno strumento finanziario elaborato dall’intermediario su misura del cliente, non standardizzato e, dunque, non destinato alla circolazione, in cui l’intermediario stesso è controparte diretta del proprio cliente. Il contratto può essere sbilanciato a favore di una delle parti ed allora si definisce non par, ossia non in perfetto equilibrio nelle condizioni corrispettive iniziali. Tale squilibrio, ha affermato la sentenza della Sezioni Unite, può essere riequilibrato con il pagamento, al momento della stipula, di una somma di denaro al soggetto che accetta le pattuizioni deteriori: questo importo è chiamato upfront.  Ma ciò che più conta, per la Suprema Corte, affinché un contratto in derivati non sia nullo, è che l’assett informativo sia effettivamente e pienamente condiviso tra le parti. Solo così la scommessa può definirsi “razionale” e meritevole di tutela. Ovviamente, il menzionato principio è destinato a valere per tutti, non solo nella contrattazione in derivati tra banche ed enti locali. 

Giorgio Mantovano, Nuovo Quotidiano di Puglia, 13 giugno 2020.

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