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Per le Sezioni Unite il curatore fallimentare può esercitare azione di responsabilità contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziali

  • Autore:

    G. MANTOVANO

  • Provvedimento:

    Cass. civ. Sez. Unite, Sent.,  23-01-2017, n. 1641

Per le Sezioni Unite il curatore fallimentare può esercitare azione di responsabilità contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziali

Si riporta uno stralcio della pronuncia delle Sezioni Unite civili (Cass. civ. Sez. Unite, Sent.,  23-01-2017, n. 1641) che legittima il curatore fallimentare ad esercitare l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori della società fallita che abbiano eseguito pagamenti preferenziali, nonchè ad esercitare qualsiasi azione di responsabilità contro gli amministratori di qualsiasi società.

 

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"La questione posta dal fallimento ricorrente, e sulla quale le Sezioni unite sono chiamate a pronunciarsi, attiene alla possibilità di ricondurre a una "azione di massa" la domanda proposta dal curatore fallimentare per ottenere il risarcimento dei danni cagionati dal fallito che, "prima o durante la procedura fallimentare, a scopo di favorire, a danno dei creditori, taluno di essi, esegue pagamenti" (L. Fall., art. 216, comma 3).

Secondo la giurisprudenza di questa corte, "nel sistema della legge fallimentare, difatti, la legittimazione del curatore ad agire in rappresentanza dei creditori è limitata alle azioni c. d. di massa - finalizzate, cioè, alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica ed aventi carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo" (Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7029, m. 590934).

Nel caso in esame si pone tuttavia l'esigenza di affrontare innanzitutto due questioni preliminari.

2.3- Come s'è detto, il fallimento ricorrente, escluso di diritto dal processo penale nel quale s'era costituito parte civile, ha dedotto in questo giudizio un doppio titolo di legittimazione, perchè ha inteso far valere sia la generale azione aquiliana da fatto illecito (art. 185 c.p., e art. 2043 c.c.) sia le specifiche azioni di responsabilità contro gli amministratori L. Fall., ex art. 146, in relazione agli artt. 2393 e 2394 c.c.. La corte d'appello si è pronunciata invece solo sulla legittimazione del curatore a far valere la responsabilità degli amministratori a norma degli artt. 2393 e 2394 c.c.; sicchè potrebbe ipotizzarsi che l'esclusione di questo titolo di legittimazione non valga a escludere anche il titolo di legittimazione ex art. 185 c.p., in quanto concorrente.

Si pone allora il problema di verificare quale possa essere il rapporto tra i due concorrenti titoli di legittimazione dedotti in giudizio, atteso che nella giurisprudenza penale è controverso se vi sia una piena "sovrapponibilità" tra esercizio dell'azione civile nel processo penale ed esercizio dell'azione di responsabilità ex artt. 2393 e 2394 c.c., come talora si è ritenuto (Cass., sez. 5^, 16 dicembre 2004, Capozzi, m. 231415), ovvero questa sovrapposizione resti esclusa "già dal rilievo che la prima investe anche il danno non patrimoniale risarcibile, a norma dell'art. 2059 c.c., quando, tra l'altro, il fatto illecito sia appunto astrattamente configurabile come reato" (Cass., sez. 5^, 17 marzo 2016, Lande, m. 267404).

In realtà, come questa corte ha avuto già modo di chiarire, le stesse azioni di responsabilità degli amministratori, benchè esperibili cumulativamente dal curatore fallimentare, hanno e mantengono titoli distinti e autonomi; ma il curatore "non potrebbe pretendere di esercitare separatamente tali azioni al fine di conseguire due volte il ripristino del patrimonio della società fallita, cui dette azioni concorrono" (Cass., sez. 1^, 12 giugno 2007, n. 13765, m. 601317, Cass., sez. 1^, 4 dicembre 2015, n. 24715, m. 638140).

Nondimeno l'azione di responsabilità sociale ex art. 2393 c.c., ha natura contrattuale e presuppone un danno prodotto alla società da ogni illecito doloso o colposo degli amministratori per violazione di doveri imposti dalla legge e dall'atto costitutivo; l'azione di responsabilità verso i creditori sociali ex art. 2394 c.c., ha natura extracontrattuale e presuppone l'insufficienza patrimoniale cagionata dall'inosservanza di obblighi di conservazione del patrimonio sociale (Cass., sez. 1^, 22 ottobre 1998, n. 10488, m. 519978, Cass., sez. 1^, 20 settembre 2012, n. 15955, m. 623922). Sicchè il curatore fallimentare, quando agisce postulando indistintamente la responsabilità degli amministratori, fa valere sia l'azione che spetterebbe alla società, in quanto gestore del patrimonio dell'imprenditore fallito, sia le azioni che spetterebbero ai singoli creditori, considerate però quali "azioni di massa" in ragione della L. Fall., art. 146 (Cass., sez. 1^, 3 giugno 2010, n. 13465, m. 613663). E il titolo di responsabilità extracontrattuale ex art. 2394 c.c., può certamente risultare riferibile anche al danno da reato ex art. 185 c.p..

D'altro canto, secondo la giurisprudenza di questa corte, "la fattispecie astratta di reato è configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 c.c.", sicchè anche alla responsabilità contrattuale può cumularsi la responsabilità per danno morale (Cass., sez. L, 3 febbraio 2015, n. 1918, m. 634611, Cass., sez. L, 24 febbraio 2006, n. 4184, m. 587299).

Ne consegue che anche per la responsabilità da reato può aversi una responsabilità concorrente, sia contrattuale sia extracontrattuale, degli amministratori della società fallita, perchè a entrambe può essere ricondotto anche il danno lamentato ex art. 185 c.p., e art. 2043 c.c.. E a questa concorrenza di titoli di responsabilità corrisponde una legittimazioni unitaria del curatore fallimentare sia in sede penale sia in sede civile per tutte le azioni esercitabili nei confronti degli amministratori.

2.4- La seconda questione preliminare si pone perchè viene qui in discussione la responsabilità degli amministratori di una società a responsabilità limitata, tale essendo la forma della società fallita.

Infatti, prima della riforma del diritto delle società varata nel 2003, le azioni di responsabilità contro gli amministratori di società a responsabilità limitata erano disciplinate dall'art. 2487 c.c., con un richiamo alle norme sulle società per azioni. Sicchè non si dubitava della legittimazione del curatore del fallimento di una s.r.l. all'esercizio delle azioni di responsabilità, benchè il testo originario della L. Fall., art. 146, richiamasse solo gli artt. 2393 e 2394 c.c., relativi agli amministratori di società per azioni.

Il D.Lgs. n. 6 del 2003, ha poi disciplinato autonomamente la responsabilità degli amministratori di s.r.l., eliminando ogni richiamo alla disciplina delle s.p.a.. Si discute pertanto se il curatore fallimentare sia ancora legittimato all'esercizio delle azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di s.r.l..

La questione deve ritenersi tuttavia superata dalla considerazione che la L. Fall., art. 146, nel suo testo originario, era destinato solo a riconoscere la legittimazione del curatore all'esercizio delle azioni di responsabilità comunque esercitabili dai soci o dai creditori nei confronti degli amministratori, indipendentemente dallo specifico riferimento agli artt. 2393 e 2394 c.c.. E questa interpretazione risulta ora confermata dallo stesso legislatore, perchè il nuovo testo della L. Fall., art. 146, come sostituito dal D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, art. 130, prevede semplicemente che il curatore è legittimato a esercitare "le azioni di responsabilità contro gli amministratori, i componenti degli organi di controllo, i direttori generali e i liquidatori" della società fallita.

Sicchè deve concludersi che il curatore può esercitare qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società (Cass., sez. 1^, 21 luglio 2010, n. 17121, m. 614347).

Venendo dunque alla questione prospettata dalla terza sezione civile, si rileva che in definitiva il disconoscimento della legittimazione attiva del curatore fallimentare da parte dei giudici del merito si fonda sull'assunto che il pagamento preferenziale possa arrecare un danno solo ai singoli creditori rimasti insoddisfatti, ma non alla società, perchè si tratta di operazione neutra per il patrimonio sociale, che vede diminuire l'attivo in misura esattamente pari alla diminuzione del passivo conseguente all'estinzione del debito.

Si tratta tuttavia di assunto palesemente erroneo, perchè il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare una riduzione del patrimonio sociale in misura anche di molto superiore a quella che si determinerebbe nel rispetto del principio del pari concorso dei creditori. Infatti la destinazione del patrimonio sociale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare. Tanto che, secondo la giurisprudenza di questa corte, "in tema di revocatoria fallimentare, la legge in nessun caso richiede l'accertamento di un'effettiva incidenza dell'atto che ne è oggetto sulla "par condicio creditorum", sicchè è evidente che la funzione dell'azione revocatoria fallimentare è esclusivamente quella di ricondurre al concorso chi se ne sia sottratto, e ciò esclude anche che un'effettiva lesione della "par condicio creditorum" possa assumere rilevanza sotto il profilo dell'interesse ad agire (art. 100 c.p.c.), essendo evidente che l'interesse del curatore ad agire ha natura procedimentale, in quanto inteso ad attuare il pari concorso dei creditori, e va accertato con riferimento al momento della proposizione della domanda, perchè si fonda sul già dichiarato stato di insolvenza del debitore, non sui prevedibili esiti della procedura concorsuale, mentre potrebbe assumere rilevanza solo l'eventuale impossibilità di qualificare come "bene" la cosa oggetto dell'azione" (Cass., sez. 1^, l settembre 2004, n. 17524, m. 576574, Cass., sez. un., 28 marzo 2006, n. 7028, m. 591009, Cass., sez. 1^, 19 dicembre 2012, n. 23430, m. 624800).

Del resto, anche dal punto di vista strettamente contabile, il pagamento di un creditore in misura superiore a quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata appunto dall'inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.

Vero è che, secondo la giurisprudenza penale, "nel caso in cui il fallito provveda al pagamento di crediti privilegiati, la configurabilità del reato di bancarotta preferenziale presuppone il concorso di altri crediti con privilegio di grado prevalente o eguale rimasti insoddisfatti per effetto dei pagamenti "de quibus" e non già di qualsiasi altro credito" (Cass., sez. 5^, 12 marzo 2014, Consol, m. 260221, Cass., sez. 5^, 28 maggio 1991, Martelli, m. 187698). Ma ancora una volta la legittimazione del curatore a costituirsi parte civile va accertata "con riferimento al momento della proposizione della domanda", attenendo alla sua ammissibilità, non al suo fondamento. Come ha chiarito la giurisprudenza penale, infatti, "ai fini dell'ammissibilità della costituzione di parte civile rileva esclusivamente la "legitimatio ad causam" e non anche la persistenza di un danno tuttora risarcibile, la cui valutazione attiene al merito dell'azione risarcitoria e non alla legittimazione a stare in giudizio" (Cass., sez. 4^, 27 settembre 2007, Pasqualetti, m. 237888).

Si può dunque concludere con l'accoglimento del primo motivo del ricorso, enunciando il seguente principio di diritto:

"Il curatore fallimentare ha legittimazione attiva unitaria, in sede penale come in sede civile, all'esercizio di qualsiasi azione di responsabilità sia ammessa contro gli amministratori di qualsiasi società, anche per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione del pari concorso dei creditori".

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Nostra nota

Il corsivo ed il grassetto sono a cura dello Studio.

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