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Per la Cassazione penale il reato di usura non è punibile a titolo di dolo eventuale

  • Autore:

    G. MANTOVANO

  • Provvedimento:

    Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-10-2016) 21-11-2016, n. 49318

Per la Cassazione penale il reato di usura non è punibile a titolo di dolo eventuale

Un breve cenno alla vicenda. Il G.u.p. del Tribunale di Pistoia aveva dichiarato non luogo a procedere nei confronti del direttore pro tempore di agenzia di banca, imputato del delitto di usura.

Era pervenuto al proscioglimento dell'imputato osservando che lo stesso, nella qualità di direttore d'agenzia, aveva assegnato ad una società esterna il compito di rilevare informaticamente l'eventuale superamento dei tassi soglia, di modo da ridurre automaticamente gli importi dovuti su base trimestrale.

Avverso tale decisione era ricorsa la parte civile, sostenendo anzitutto che l'imputato non poteva ritenersi discriminato dal fatto di avere incaricato società esterne per effettuare conteggi, società che lui stesso aveva il compito di selezionare con oculatezza, alle quali era tenuto a dare corrette istruzioni e, soprattutto, a controllarne l'operato, del quale comunque avrebbe dovuto risponderne. Il G.u.p. avrebbe quindi errato nell'escludere l'elemento soggettivo del reato, quantomeno nella forma del dolo eventuale.

La Suprema Corte (Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-10-2016) 21-11-2016, n. 49318) ritiene infondate le censure proposte dal ricorrente e si riporta ad un risalente filone giurisprudenziale, formatosi nella vigenza della vecchia formulazione dell’art. 644 c.p., secondo il quale il dolo eventuale non potrebbe mai connotare soggettivamente il delitto di usura. Ciò in quanto tale tipo di dolo postulerebbe una pluralità di eventi (conseguenti all'azione dell'agente e da questi voluti in via alternativa o sussidiaria nell'attuazione del suo proposito criminoso) che invece non si verificherebbero nel reato de quo, nel quale vi sarebbe l'attingimento dell'unico evento di ottenere la corresponsione o la promessa di interessi o vantaggi usurari, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa mobile (Sez. 2, n. 1789 del 21/06/1983 - dep. 01/03/1984, Gaiotto, Rv. 162875; Sez. 2, n. 6611 del 12/01/1983 - Priotti, Rv. 159935).

La pronuncia in esame è annotata da S. SCARPIN, Dolo eventuale e delitto d'usura: il "revirement" della Cassazione, in www.giurisprudenzapenale.com, 2017, n.1. 

Il dolo richiesto dalla formulazione del reato di usura, disciplinato dalla L.n.109/1996, è generico, consistente nella coscienza e volontà di farsi dare o promettere, per sé o per altri, attraverso la conclusione di un contratto sinallagmatico, come prestazione di denaro o di altra utilità: a) interessi usurari ex lege da persona in situazione di inferiorità economica; b) interessi usurari in concreto da persona in condizioni di difficoltà economica o finanziaria (così F. MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale, II , Delitti contro il patrimonio, Padova, 2012, 253). E' discussa in dottrina la sufficienza del dolo eventuale, che veniva  escluso dalla giurisprudenza anteriore alla riforma: Cass. sez. II, 21 giugno 1983 ( dep. 1 marzo 1984), Gaiotto, CED 162875; Cass., sez.II, 12 gennaio 1983 ( dep. 14 luglio 1983) n.6611, Priotti, CED 159935). P.MAGRI, I delitti contro il patrimonio mediante frode, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, Vol. VII, Tomo II, Padova, 2007, 44, afferma che l’orientamento prevalente è favorevole a tale estensione, in quanto l’elemento soggettivo viene integrato anche laddove sia provato che l’agente abbia accettato il rischio che la controprestazione fosse usuraria (in tal senso, G. DONADIO, Sub. Art.644, in G. LATTANZI – E. LUPO, Codice penale. Rassegna di Giurisprudenza e di Dottrina, vol. VI, I delitti contro il patrimonio. Le contravvenzioni, 2005, 212; F. MUCCIARELLI, L. 7 marzo 1996 N. 108. Disposizioni in materia di usura, in Leg.pen., 1997, 507; S. PROSDOCIMI, La nuova disciplina del fenomeno usurario, in Studium Iuris, 1996, 771). Altri autori limitano la punibilità a titolo di dolo eventuale alla sola fattispecie residuale del terzo comma, nella quale è scomparso il requisito dell’approfittamento: in questa ipotesi il dubbio potrà avere come oggetto lo stato di difficoltà economica e finanziaria della vittima e la sproporzione degli interessi (cfr. A. MANNA, La nuova legge sull’usura, 1997, 69; V. MANES, Delitti contro il patrimonio mediante frode, in AA.VV., Diritto penale. Lineamenti di parte speciale, IV ed., Monduzzi, 2006, 618).   

Giova anche ricordare che la Suprema Corte (Cass. pen. Sez. II, Sent., 02-02-2017, n. 4961) ha ribadito che solo ai presidenti dei consigli di amministrazione delle banche è stato riconosciuto lo svolgimento di un'attività in uno specifico settore, nel quale gli organi di vertice hanno il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente, poichè i relativi statuti attribuiscono loro poteri in materia di erogazione del credito, rientranti nell'ambito dei più generali poteri di indirizzo dell'impresa, sussistendo in capo ad essi una posizione di garanzia a tutela dei clienti degli istituti bancari quanto al rispetto delle disposizioni di legge in tema di erogazione del credito (in tal senso, circa la conoscenza del tasso di usura praticato dalla banca Cass. sez. 2, sent. n. 46669 del 23/11/2011 - dep. 19/12/2011 - Rv. 252196).

La sentenza citata, la n.46669/2011 (annotata da: M. PILONI, Usura bancaria e commissione di massimo scoperto: l’elemento oggettivo e soggettivo del reato, in  Dir. pen. proc., 2012, n. 6, 736; F. BOMBA, La riforma del delitto di usura e questioni di diritto intertemporale, in Arch. pen., 2012, n. 3, 1129) aveva affermato che:                                    

 "i presidenti dei consigli di amministrazione delle banche interessate non possono invocare l'inevitabilità dell'errore sulla legge penale l'art. 5 c.p.) svolgendo attività in uno specifico settore rispetto al quale gli organi di vertice hanno il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente, essendo loro attribuiti, dai relativi statuti, poteri in materia di erogazione del credito, rientranti nell'ambito dei più generali poteri di indirizzo dell'impresa, sussistendo in capo agli stessi una posizione di garanzia essendo gli interessi protetti dalla norma incriminatrice soggetti alla sfera d'azione e di potenziale controllo dei presidenti e legali rappresentanti dei tre istituti di credito.

La specifica competenza degli imputati che connota o deve, comunque, connotare gli organi di vertice della banca, consente di individuare negli stessi i garanti primari della corretta osservanza delle disposizioni di legge in tema di usura, indipendentemente dalla suddivisione dei compiti all'interno dell'istituto che non esonera i vertici dall'obbligo di vigilanza e controllo della osservanza delle disposizioni di leggi, segnatamente in tema di superamento del tasso soglia.

A seguito della riforma societaria (L. 3 ottobre 2001, n. 366 e D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6) è possibile, infatti, la struttura delle società e quindi anche degli istituti bancari, in base a un modello c.d. dualistico con la possibilità di attribuzione diretta, senza quindi delega da parte dell'organo apicale, ad altri organismi, quali ad esempio i comitati direttivi o i comitati centrali, con compiti di gestione sottratti alla sfera di ingerenza del consiglio di amministrazione e del suo presidente.

Tuttavia, il mancato controllo e vigilanza su specifiche questioni concernenti l'erogazione del credito, quali la determinazione del tasso di usura, rientrando tra le funzioni specifiche delle banche, sono ricompresi nell'alveo di competenza degli organi di vertice, indipendentemente dal decentramento di tali funzioni a altri organismi sottordinati e interni alla banca, con possibilità di affermare, in caso di omissione di controllo, in quest'ultimo caso, quantomeno la corresponsabilità, sotto il profilo penale di tali organi verticistici, ricadendo tale omissione nella sfera di azione dell'art. 40 c.p., comma 2, secondo cui "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo".

E' attribuibile ai presidenti degli istituti bancari e dei relativi consigli di amministrazione una c.d. "posizione di garanzia", in quanto la formale rappresentanza dell'istituto bancario, se non accompagnata da poteri di decisione o gestione operativa, appare totalmente priva di significato nell'ottica della tutela di interessi che ricevono protezione penale. Si deve quindi affermare che i presidenti delle banche, quali persone fisiche, siano garanti agli effetti penali, cioè tenuti a rendere operativa una posizione di garanzia, che, in ultima analisi, fa capo all'ente, centro d'imputazione dell'attività di erogazione del credito nell'ambito della quale ben può essere ravvisata la violazione del precetto penale anche in capo ai predetti organi. Tale rilievo è valido anche nel caso in cui non risultino attribuite, dalla legge o dagli statuti dei singoli enti, specifiche attribuzioni ad altro organo, senza possibilità di interferenze da parte di altri organismi, ancorchè posti in posizione apicale rispetto all'organo subordinato competente per determinate materie, in un'ottica monistica, in cui anche la gestione operativa dell'istituto spetta al consiglio di amministrazione.

Anche nel caso in cui, in base a norme statutarie, l'azienda sia stata suddivisa in distinti settori e servizi, così come avviene solitamente nelle banche di notevoli dimensioni con l'istituzione di una direzione generale a cui vengono affidati specifici compiti, e a cui siano stati preposti soggetti qualificati idonei, con poteri e autonomia per la gestione di determinati affari, può ravvisarsi una responsabilità penale nei confronti del presidente del consiglio di amministrazione o dei suoi componenti, in virtù dei poteri di indirizzo e coordimento e, più in generale "di garanzia", a tutela dell'osservanza delle norme di legge.

Gli istituti di credito di rilievo nazionale sono generalmente strutturati in base a una complessa organizzazione amministrativa e funzionale con una suddivisione di compiti essendo demandati solitamente agli organi di vertice funzioni di rappresentanza generale (generalmente in capo al presidente), di governance strategica (in capo al consiglio d'amministrazione) e controllo (in capo al collegio dei revisori).

Gli organi centrali sovente sono strutturati in un sottosistema che, a sua volta, comprende direzione generale e direzioni centrali con compiti gestionali e operativi e varie gestioni periferiche, così come solitamente avviene per l'erogazione del credito e la determinazione dei relativi tassi. E' compito degli organi apicali vigilare e impedire che venga superato il tasso soglia, mentre l'applicazione delle relative condizioni può essere demandata agli organi gestionali, non potendo essere del tutto rigida, essendo connessa all'andamento dei mercati, mentre raramente è personalizzata in relazione alle caratteristiche ed esigenze del singolo cliente.

In tal caso è ravvisabile in capo al presidente o al consiglio di amministrazione un potere di controllo gestionale sull'attività della direzione generale o centrale commerciale con specifico riferimento alla determinazione dei tassi di interesse, anche se a termini statutari tali organismi sottordinati abbiano autonomia gestionale operativa, con conseguente responsabilità penale concorrente degli organi apicali ove venga superato il tasso soglia degli interessi in ordine alla erogazione del credito alla clientela".

Nel caso di specie, la Suprema Corte aveva riconosciuto la buona fede (inconciliabile col dolo) nei confronti degli organi apicali delle banche sia in forza delle circolari della Banca d’Italia dell’epoca (su cui si fondavano peraltro anche i decreti ministeriali del Ministro del Tesoro) che non comprendevano la CMS nel calcolo del tasso soglia usurario, sia in virtù di una consolidata giurisprudenza di merito, previgente ai fatti di causa, che escludeva nell’atteggiamento delle banche ogni ipotesi di reato, assolvendo gli operatori bancari ad ogni livello o non ravvisando gli estremi per l’azione penale. Su quest’ultimo aspetto la sentenza in commento aveva ribadito che, nel diverso caso in cui si fosse riscontrata incertezza giurisprudenziale, il ragionevole dubbio sulla liceità del comportamento avrebbe escluso la possibilità di invocare lo stato di inevitabile ed invincibile ignoranza. Il dubbio, infatti, non essendo equiparabile allo stato di inevitabile ed invincibile ignoranza, è inidoneo ad escludere la consapevolezza dell’illiceità e impone un atteggiamento più cauto, fino all’astensione dall’azione, secondo quanto già autorevolmente affermato dalla Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 364 del 1988. Riguardo all’errata interpretazione della legge penale da parte della Banca d’Italia a mezzo delle circolari che non comprendevano la CMS nel calcolo del tasso soglia usurario, si è ritenuto che dette circolari, pur non escludendo la sussistenza del reato sotto il profilo dell’elemento oggettivo, abbiano consentito alla Suprema Corte, unitamente all’esistenza di una giurisprudenza pacificamente assolutoria, di riconoscere agli imputati uno stato soggettivo di buona fede incompatibile non solo con la responsabilità penale contestata ma anche con qualsivoglia profilo di colpa ipotizzabile (così M.PILONI, cit., 740).

 

 

 

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