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Anatocismo nei finanziamenti: nessuna generalizzata deroga all’art. 1283 c.c. a seguito del decreto CICR.

  • Fonte:

    www.dirittobancario.it

  • Autore:

    F. QUARTA

Anatocismo nei finanziamenti: nessuna generalizzata deroga all’art. 1283 c.c. a seguito del decreto CICR.

Sommario*: 1. Premessa. – 2. La prima parte del novellato art. 120, comma 2, lett. b), t.u.b. e l’illusione del carattere innovativo della regola che autorizza la produzione di interessi di mora sugli «interessi debitori maturati». Mancata specificazione del dies a quo e altri problemi terminologici e sistematici. – 3. Il rinvio da parte del decreto CICR alla disciplina codicistica sugli interessi di mora, che stabilisce la loro automatica produzione alla scadenza del debito e l’impossibilità di dar luogo ad anatocismo se non nelle eccezionali ipotesi previste dall’art. 1283 c.c. – 4. Conclusione: nessuna generalizzata deroga all’art. 1283 c.c. per il c.d. anatocismo bancario. Perplessità sulla «capitalizzazione annuale di interessi e spese» nel prestito vitalizio ipotecario, riservato agli ultrasessantenni.

 

1. Le parole utilizzate in un enunciato normativo servono per orientare le condotte.

Le parole utilizzate nella prima parte del novellato art. 120, comma 2, lett. b), t.u.b. non paiono in grado di orientare alcunché, se non di confermare quanto già prescritto altrove: cioè, che gli interessi scaduti possono produrre nuovi interessi (di mora) soltanto se, trascorsi almeno sei mesi dal momento in cui sono divenuti esigibili, siano stati fatti oggetto di domanda giudiziale o la relativa capitalizzazione sia stata consentita di comune accordo fra le parti. In breve, specialmente alla luce delle indicazioni contenute nel decreto del Comitato Interministeriale per il Credito ed il Risparmio del 3 agosto 2016, si appurerà che non c’è motivo di ritenere scalfito, ad oggi, il generale divieto di anatocismo prescritto dall’art. 1283 c.c. Perlomeno, non attraverso la prima parte del novellato art. 120, comma 2, lett. b), t.u.b.

2. Delegato al CICR il compito di stabilire «modalità e criteri per la produzione di interessi» nelle operazioni bancarie, l’art. 17-bis, comma 1, d.l. 14 febbraio 2016, n. 18 (convertito, con modificazioni, dalla legge 8 aprile 2016, n. 49), con pretesa portata universale ha stabilito che, in ogni caso, «gli interessi debitori maturati, ivi compresi quelli relativi a finanziamenti a valere su carte di credito, non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale».

Lasciando da parte «i finanziamenti a valere su carte di credito» – rispetto ai quali non c’è ragione di distinguere tra interessi debitori e creditori (ammesso che, nel nominare gli interessi debitori nel corpo del nuovo art. 120, comma 2, t.u.b., i redattori abbiano avuto in mente proprio quella distinzione) – e pure sorvolando, come spesso di questi tempi tocca fare, sugli impalpabili motivi di straordinaria necessità e urgenza posti alla base dell’intervento riformatore del febbraio 2016, da qualunque angolatura la si prenda, la disposizione nella sua nuova veste sembra non riuscire ad accedere al senso che vorrebbero attribuirle i fautori della resurrezione, o della rinnovata legittimazione, della pratica dell’«anatocismo bancario»[1].

Sebbene, di prim’acchito, la regola che ammette la possibilità per gli «interessi debitori maturati» di produrre ulteriori interessi (di mora) possa sembrare suscettibile di immediata attuazione in discontinuità rispetto al recente passato[2], non si può fare a meno di richiamare l’attenzione, prima di entrare nel merito dell’influenza esercitata in quest’àmbito dal decreto attuativo, sulla chiosa del medesimo enunciato legislativo, ove è stabilito che gli «interessi debitori» «sono calcolati unicamente sulla sorte capitale».

Gli interessi di mora, in nessun caso riconducibili alla tipologia degli interessi c.dd. creditori, rappresentano una specie del più ampio generedegli interessi c.dd. debitori[3]. Se così è, e se è vero – come si evince da una mera lettura della norma – che questi ultimi debbano calcolarsi «unicamente» sulla sorte capitale, allora gli interessi di mora potranno essere conteggiati non già sugli interessi maturati in costanza di rapporto e rimasti impagati alla scadenza, ma soltanto sul capitale (non pagato). E però, si ribadirebbe, è stato dalla legge specificato che gli interessi «non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora»; il che vale a dire: gli interessi maturati possono produrre interessi di mora. In tutta risposta, si chiamerebbe nuovamente in gioco la circostanza che gli interessi debitori possono essere «calcolati esclusivamente sulla sorte capitale» e che se si fosse voluto affermare, innovando realmente rispetto al passato, che gli interessi «corrispettivi» (meglio di «debitori») possono essere capitalizzati immediatamente alla scadenza del debito per dare vita a interessi di mora in deroga alla disciplina codicistica[4], sarebbe forse bastato dirlo[5].

È un cane impazzito che tenta di mordersi la coda e nemmeno ci riesce. E non c’è verso di uscirne, se non con un gesto di libertà, o meglio, di liberazione, che porta a ritenere la norma sostanzialmente inapplicabile, con conseguente rivitalizzazione dell’art. 1283 c.c. e il suo elementare, benché da alcuno ritenuto superabile[6], divieto generalizzato di anatocismo[7]. Cosicché, per effetto dell’unica interpretazione che parrebbe preservare la coerenza sistematica della prima parte dell’art. 120, comma 2, lett. b), t.u.b., gli interessi corrispettivi divenuti esigibili alla scadenza del debito (o alla chiusura del conto) possono sì produrre interessi di mora, ma soltanto nelle due ipotesi eccezionali di anatocismo giudiziale e convenzionale previste dall’art. 1283 c.c.

3. Sulle premesse normative appena tratteggiate e all’esito di un giro di consultazioni da parte della Banca d’Italia dei principali portatori d’interesse, è stato emanato il decreto CICR n. 343 del 3 agosto 2016, efficace a partire dal successivo 1° ottobre.

La tesi che nega che il novellato art. 120, comma 2, t.u.b. (nella sua primissima parte) abbia prodotto alcuna deroga all’art. 1283 c.c. trova solide conferme anche nel regolamento attuativo.

L’art. 3, primo comma, del più recente decreto CICR riproduce fedelmente la prima parte dell’art. 120, comma 2, lett. b), t.u.b., salvo eliminare l’inciso finale indicativo della regola per cui gli interessi «sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale». Con il seguente effetto prescrittivo: per tutte le operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti disciplinate dal titolo VI del t.u.b., «gli interessi debitori maturati non possono produrre interessi, salvo quelli di mora».

La norma è evidentemente monca, poiché lascia in ombra la prescrizione di rango primario inerente all’obbligo, indirizzato proprio al CICR, di prevedere «in ogni caso» che gli «interessi debitori maturati» siano «calcolati esclusivamente sulla sorte capitale» (prescrizione che, ovviamente, non può ritenersi obliterabilein sede di stesura della norma di rango inferiore). Dunque, non c’è motivo di non considerarla implicitamente richiamata.

Di rilievo è il secondo comma, che chiarisce, innovando rispetto al testo dell’art. 120 t.u.b., che «agli interessi moratori si applicano le disposizioni del codice civile». Non è un chiarimento pleonastico né di poco conto, atteso che quella riguardante la disciplina degli interessi moratori nelle obbligazioni pecuniarie è questione non ancora del tutto definita[8].

La disciplina va costruita. In estrema sintesi, si può affermare che la mora del debitore è conseguenza diretta e immediata dell’inutile passaggio del termine concesso per l’adempimento (art. 1224 c.c.), senza il bisogno di attendere l’intervento di una formale costituzione in mora[9]. Infatti, a norma dell’art. 1219 c.c., la mora è automatica quando è scaduto il termine e la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore; e per l’art. 1182 c.c. l’obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta proprio al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza. Tutto torna, quindi: «applican[d]o le disposizioni del codice civile»[10], gli interessi moratori nelle obbligazioni pecuniarie si producono immediatamente.

Il punto è ora stabilire, sempre «applican[d]o le disposizioni del codice civile»[11], quale sia la base sulla quale si calcolano gli interessi di mora, posto che – come si è appena osservato – essi si producono a partire dal giorno della scadenza del debito: se sul solo capitale o anche sugli interessi scaduti e non ancora pagati. La risposta non può non passare per la regola dell’art. 1283 c.c., per cui «gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di una convenzione posteriore alla loro scadenza» e sempre che siano passati almeno sei mesi. Dunque, in mancanza di un’iniziativa giudiziale del creditore finalizzata al recupero coattivo del credito o di un accordo fra le parti ai fini della capitalizzazione della porzione feneratizia del debito scaduto, gli interessi moratori non possono essere conteggiati su altro se non sul capitale[12].

Questa la disciplina dettata dal codice civile per gli interessi moratori e che il decreto CICR ha inteso richiamare nella regolamentazione del c.d. anatocismo bancario. Mettendo ora in collegamento il primo e il secondo comma dell’art. 3, nel tentativo di appurare la reale portata dell’effetto anatocistico che ne discenderebbe, va conclusivamente riconosciuto che il calcolo degli interessi di mora può avere senz’altro come base di riferimento gli «interessi debitori maturati» (come indicato nel primo comma e come anticipato nella prima parte dell’art. 120, comma 2, t.u.b.), ma non si può non ribadire che le uniche forme di anatocismo ad oggi possibili «secondo il codice civile» (secondo comma) sono quelle dettate dall’art. 1283 c.c., vale a dire: l’anatocismo giudiziale e convenzionale.

4. Si potrebbe proseguire, esaminando la non candida razionalità economica o l’infimo impatto deterrente associato alla regola che vieta nel nostro ordinamento la produzione di interessi moratori sugli interessi scaduti[13], ma poiché si tratterebbe di un approfondimento de jure condendo, è conveniente desistere in questa sede, in cui si è cercato un contatto con la stretta attualità.

Pur nella brevità degli approfondimenti svolti, si è potuto dimostrare che, alla luce della formulazione attuale della prima parte dell’art. 120, comma 2, t.u.b., non c’è spazio per alcuna generalizzata deroga all’art. 1283 c.c. Eloquente, in tal senso, è la scelta legislativa e regolamentare di non riproporre nel nuovo corpus juris la norma prevista dall’art. 3 della delibera CICR del 9 febbraio 2000[14] che, proprio in relazione alle operazioni di finanziamento a rimborso rateale, aveva stabilito che in caso di ritardato pagamento delle rate si sarebbero immediatamente prodotti, se contrattualmente pattuiti, gli interessi di mora sull’«importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata» (fermo restando che – in costanza di rapporto – su tali interessi non avrebbe potuto avere luogo la capitalizzazione periodica).

Il rischio che, per via interpretativa, si facesse rinascere l’anatocismo in relazione a qualsiasi operazione di raccolta del risparmio e di esercizio del credito ricadente nel titolo VI del t.u.b.[15] parrebbe, quindi, essere stato scongiurato.

Solitaria e stravagante eccezione, nell’universo dei contratti di finanziamento attualmente disponibili sul mercato, è il c.d. prestito vitalizio ipotecario, riservato a persone fisiche con età superiore a sessanta anni compiuti[16]. Rispetto all’esecuzione di siffatto contratto, il legislatore del 2015 ha previsto espressamente che interessi e spese siano capitalizzati su base annua[17].

Dando per nota la «sottile distinzione dommatica tra interesse composto e capitalizzato»[18], stupisce nondimeno che l’unico contratto di finanziamento rispetto al quale è stata sostanzialmente fatta salva la produzione di effetti anatocistici riguardi fasce di popolazione che, per definizione, andrebbero protette anziché esposte per legge a un meccanismo contabile che, negli ultimi anni, è stato grandemente marginalizzato per la sua intrinseca idoneità a moltiplicare, nascostamente ed esponenzialmente[19], i costi del credito.




[*] Il testo ricalca, con l’aggiunta di note bibliografiche essenziali, il contenuto della relazione svolta in occasione della tavola rotonda La consulenza tecnica d’ufficio: aspetti processualistici ed operatività, organizzata dall’Ordine dei Dottori commercialisti e dei revisori contabili di Rimini il 4 novembre 2016. Ovviamente, le opinioni espresse in questo saggio sono da intendersi proprie dell’autore, non mirando a impegnare, né necessariamente a rispecchiare, le posizioni collegialmente assunte dall’Arbitro Bancario Finanziario.

[1] Fra i primi autori ad essersi occupati dell’«anatocismo bancario», incentivando e accompagnando il cambio di rotta di fine secolo, seppur da diverse angolature, V. Farina, Recenti orientamenti in tema di anatocismo,in Rass. dir. civ., 1991, p. 757ss; Id.,La determinazione giudiziale del credito “bancario” in conto corrente, in Banca borsa tit. cred., 1999, p. 340 ss.; A.A. Dolmetta, Per l'equilibrio e la trasparenza nelle operazioni bancarie: chiose critiche alla legge n. 154/1992, in Banca borsa tit. cred., 1992, I, p. 378 ss.; Id., Il rapporto banca cliente: una storia aperta, in Quest. giust., 2000, p. 256 ss.; B. Inzitari, Convenzione di capitalizzazione trimestrale degli interessi e divieto d’anatocismo ex art. 1283 c.c., in Giur. it., 1995, I, p. 409 ss.; G. Cottino, La cassazione muta indirizzo in tema di anatocismo, in Giur. it., 1999, p. 1221 ss.; D. Maffeis, Anatocismo bancario e ripetizione degli interessi da parte del cliente, in Contratti, 2001, p. 406 ss.

[2] Secondo il pregevole approfondimento di V. Farina, La (ennesima) resurrezione dell’anatocismo bancario, in Contratti, 2016, p. 709, compiuto prima dell’emanazione del decreto CICR, «[l]’attuale previsione, diversamente che in passato», consentirebbe «alla banca finanziatrice di pretendere il pagamento degli interessi moratori sul credito scaduto per interessi corrispettivi compresi nelle singole rate».

[3] Volendo provare a offrire una soluzione interpretativa alternativa alla prima parte del novellato art. 120, comma 2, t.u.b., si potrebbero recuperare le raffinate argomentazioni operate da M. Giorgianni, L’obbligazione (la parte generale delle obbligazioni), rist., Milano 1968, p. 176 ss., per tenere minuziosamente separata l’area propriamente riconducibile al «debito» e l’area, susseguente e soltanto eventuale, della «responsabilità». Un simile richiamo consentirebbe di fare salvo il linguaggio impiegato dal legislatore e collocare così gli interessi definiti «debitori» nella prima area (rinominandoli perciò a pieno titolo «corrispettivi») e quelli moratori nella seconda. Ma il risultato non si discosterebbe da quello cui si perverrà nel presente scritto: gli interessi corrispettivi non potendo essere capitalizzati non possono produrre nuovi interessi; e quand’anche si volesse accreditare l’assunto che gli interessi moratori possano calcolarsi sugli interessi scaduti, ciò non potrà avvenire automaticamente, ma secondo le modalità e le tempistiche indicate nell’art. 1283 c.c.

[4] Ma, come si vedrà, una simile deroga è stata espressamente esclusa dall’art. 3, comma 2, del Decreto CICR 3 agosto 2016 (v. paragrafo seguente).

[5] Magari con una formula dal seguente tenore, grosso modo riproduttiva di una norma – l’art. 3 della delibera CICR del 9 febbraio 2000 – di cui si sono ormai perse le tracce: «Nelle operazioni di raccolta del risparmio e di esercizio del credito tra intermediari e clienti disciplinate dal titolo VI del t.u.b., in deroga all’art. 1283 c.c., per ogni ipotesi di ritardo nell’adempimento, gli interessi corrispettivi maturati si capitalizzano alla scadenza e possono produrre interessi di mora». Ha richiamato con forza l’attenzione sull’art. 3 della delibera CICR del 9 febbraio 2000 F. Maimeri, La capitalizzazione degli interessi fra legge di stabilità e decreto sulla competitività, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 23, 2014, testo a nota 11.

[6] P. Carrière, La luce (finalmente) in fondo al tunnel dell’anatocismo?, in dirittobancario.it, settembre 2016, spec. p. 4 ss..

[7] Da uno sguardo d’assieme sul nuovo art. 120, comma 2, t.u.b., l’unica norma astrattamente in grado di generare, sia pure indirettamente, effetti anatocistici è quella contenuta al numero 2, là dove è attribuito al cliente il «potere» di «autorizzare l’addebito degli interessi sul conto» nel momento in cui questi divengono esigibili, con la conseguenza che «la somma addebitata è considerata sorte capitale» e su di essa potranno perciò prodursi nuovi interessi (di mora) in caso di intempestivo pagamento. È giusto il caso di rammentare che la materia rinviene la propria disciplina di dettaglio nell’art. 4 del decreto CICR del 2016, applicabile nel solo contesto dei rapporti di credito, convenzionali o di fatto, regolati in conto corrente o di pagamento. Sul punto, v. F. Sartori, Prolegomeni in tema di anatocismo: a proposito della proposta di Delibera CICR della Banca d’Italia, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 18, 2015, il quale ha posto in evidenza l’introduzione di una «forma (atecnica) di anatocismo», che si differenzia da quella previgente «esclusivamente per il periodo di computo: tre mesi ieri, quattordici mesi oggi».

[8] Basti ricordare l’ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale suscitato da Cass., 9 gennaio 2013, n. 350 (in Banca borsa tit. cred., 2013, II, p. 498, con nota di A.A. Dolmetta; in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, p. 675, con nota di G. Tarantino; in Foro it., 2014, I, c. 128 ss., con nota di A. Palmieri, in Danno resp., 2014, p. 193, con nota di G. Colangelo) sulla possibilità che gli interessi moratori possano essere presi in conto ai fini della verifica del superamento del tasso-soglia per l’usura, cui hanno fatto eco le decisioni del Collegio di coordinamento ABF n. 3412 del 23 maggio 2014 e n. 297 del 16 gennaio 2015, secondo cui «la Cassazione […] ha inteso semplicemente chiarire che anche gli interessi moratori devono essere assoggettati al vaglio di usurarietà al pari di quelli corrispettivi, fermo restando che il relativo confronto con il tasso soglia deve essere operato tenendo conto del tasso convenuto autonomamente considerato». Da ultimo, v. Cass., 22 giugno 2016, n. 12965, in Rep. Foro it., 2016, voce Usura, n. 4: nel confermare che l’art. 2-bis, d.l. n. 185 del 2008 (introdotto con la legge di conversione n. 2 del 2009) non è norma di interpretazione autentica escludendo perciò soltanto pro futuro la rilevanza della commissione di massimo scoperto ai fini della verifica del raggiungimento del tasso soglia, ha ribadito che il giudice è tenuto, in quest’ambito, a prendere in considerazione soltanto «elementi omogenei della rimunerazione bancaria». Per una ricostruzione del dibattito attorno alla discussa rilevanza degli interessi moratori sotto il vigore del precedente testo dell’art. 1815 c.c., v. I. Tardia, Usure civili e sovrapposizione antinomica delle discipline, in Riv. dir. econ. trasp. amb. - GIURETA, 2013, vol. XI, spec. p. 459 ss.

[9] B. Inzitari, La moneta, in Tratt. dir. comm. Galgano, VI, Padova, 1986, p. 210 s. In senso parzialmente diverso C.M. Bianca, Dell’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1979, p. pp. 189 e 287. In chiave riassuntiva, v. M. Semeraro, Pagamento e forme di circolazione della moneta, Napoli, 2008, p. 222.

[10] Art. 3, comma 2, Decreto CICR 3 agosto 2016.

[11] Art. 3, comma 2, Decreto CICR 3 agosto 2016.

[12] Cass., 11 gennaio 2013, n. 603, in Foro it., 2014, I, c. 128.

[13] P. Carrière, o.c., p. 4 s.

[14] Per approfondimenti su questa regola, sostanzialmente dimenticata dai pratici e dai teorici già prima di essere materialmente superata dal legislatore, v. F. Maimeri, La capitalizzazione degli interessi, cit., testo a nota 8.

[15] Art. 2, decreto CICR 3 agosto 2016.

[16] L’art. 1 della legge 2 aprile 2015, n. 44, ha modificato il comma 12 dell’art. 11-quaterdecies del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, come segue: «Il prestito vitalizio ipotecario ha per oggetto la concessione […] di finanziamenti a medio e lungo termine, con capitalizzazione annuale di interessi e di spese, riservati a persone fisiche con età superiore a sessanta anni compiuti, il cui rimborso integrale in un’unica soluzione può essere richiesto al momento della morte del soggetto finanziato ovvero qualora vengano trasferiti, in tutto o in parte, la proprietà o altri diritti reali o di godimento sull’immobile dato in garanzia o si compiano atti che ne riducano significativamente il valore, inclusa la costituzione di diritti reali di garanzia in favore di terzi che vadano a gravare sull’immobile». In proposito, v. il pregevole approfondimento di C. Franco, Alle origini del prestito vitalizio ipotecario: il Gerodiritto, in dirittobancario.it, ottobre 2016, spec. p. 37 ss.

[17] Infatti, non si è previsto che le parti possano prevedere in contratto la capitalizzazione annuale. È la legge stessa a dettare il contenuto del regolamento contrattuale.

[18] F. Sartori, Prolegomeni in tema di anatocismo, cit.

[19] D. Sinesio, Interessi bancari fra autonomia e controlli, Milano, 1989, p. 56. Incisivamente, da ultimo, R. Marcelli, L’anatocismo, espunto dal parlamento, riemerge nella delibera CICR. Gli ‘accorgimenti della Banca d’Italia’, in Atti del convegno AssoCTU, Il nuovo art. 120 TUB e la proposta delibera CICR della Banca d’Italia (Roma, 16 Ottobre 2015).

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