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Commissione di massimo scoperto: rimessa alle Sezioni Unite la questione della rilevanza usuraria

Commissione di massimo scoperto: rimessa alle Sezioni Unite la questione della rilevanza usuraria

La Prima Sezione ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione, oggetto di contrasto oltre che ritenuta di massima di particolare importanza, se la nuova disciplina in tema di commissione di massimo scoperto introdotta dall’art. 2-bis della l. n. 2 del 2009 abbia natura di interpretazione autentica della normativa in materia di usura, ovvero presenti carattere innovativo, essendo tesa a stabilire, solo per i rapporti sorti dopo l’entrata in vigore della detta legge, il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari, ai sensi dell’art. 644, comma 3, c.p., con la conseguenza che, in riferimento ai rapporti precedenti, la determinazione del tasso effettivo globale, ai fini della valutazione del carattere usurario degli interessi applicati, deve aver luogo senza tener conto della commissione di massimo scoperto.

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Riportiamo, di seguito, uno stralcio dell'ordinanza (il grassetto ed il corsivo sono a cura dello Studio):

" ( omissis)

4.- Il terzo motivo di ricorso fa riferimento, come già sopra riscontrato, alla commissione di massimo scoperto. Pacifica l'applicazione di tale condizione economica a carico della Società in bonis lungo il corso del rapporto di conto corrente a suo tempo svoltosi inter partes, il motivo contesta peraltro la rilevanza della stessa ai fini del riscontro in concreto dell'usurarietà del credito di cui la Banca ha chiesto l'ammissione al passivo. 

Nell'includere la commissione nel novero degli oneri economici da conteggiare (insieme agli altri oneri) per l'espletamento della detta verifica, il Tribunale ha errato - assumono in specie i ricorrenti -perché il rapporto di conto corrente, dì cui si discute in concreto, si è svolto prima del 2010. Sino a tale momento, così argomentano gli stessi, la Banca d'Italia - nelle Istruzioni che ha rivolto agli intermediari - ha previsto «al punto C5, che la commissione di massimo scoperto non entrava nel calcolo» delle condizioni economiche richieste alle banche per essere utilizzati nella formazione dei c.d. tassi medi rilevati trimestralmente dai decreti del Ministro dell'economia. Solo con le istruzioni dell'agosto 2009 - concludono i ricorrenti - è venuto a mutare l'avviso della Banca d'Italia, che da allora ha incluso la commissione nel conto degli oneri rilevanti.

5.- Nello svolgimento concreto del suo percorso, il motivo in esame si è dichiaratamente posto in termini di contestazione e di opposizione a un consistente orientamento  seguito  dalla giurisprudenza di questa Corte.

Secondo tale orientamento - che fa diretto e immediato richiamo al tenore della norma dell'art. 1 della legge 7 marzo 1996, n. 108 (altrimenti detto, alla vigente norma dell'art. 644 cod. pen.), come pure al sistema complessivamente portato dalla legge stessa -, è da ritenere del tutto sicuro che l'onere recato dalla commissione di massimo scoperto esprima un costo del credito; e che, in quanto tale, lo stesso vada inserito nel conto delle voci rilevanti per la verifica dell'eventuale usurarietà dei negozi conclusi dall'autonomia dei privati. Cfr. così, in particolare, le sentenze di Cass. pen., 26 marzo 2010, n. 12028; di Cass. pen., 22 luglio 2010, n. 28743; di Cass. pen., 23 novembre 2011, n. 46669; di Cass. pen., 3 luglio 2014, n. 28928; con questa impostazione risulta in linea pure la pronuncia di Cass., 4 aprile 2016, n, 10516.

Successivamente alla presentazione del ricorso, peraltro, sono comparse due pronunce che sono andate in contrario avviso rispetto all'orientamento appena sopra indicato. Si tratta di Cass., 22 giugno 2016, n. 12965 e di Cass., 3 novembre 2016, n. 22270.

6.- Il contrasto, che in tale modo si è venuto a delineare tra le diverse pronunce di questa Corte, viene essenzialmente a convergere e a riflettersi - secondo quanto emerge dall'esame delle contrapposte motivazioni, che in concreto sono state addotte - su due distinti profili, come poi destinati a combinarsi tra loro.

Il primo attiene all'insieme formato, da un lato, dalla norma definitoria della fattispecie oggettiva di usura, secondo il disposto del già richiamato art. 1 legge n. 108/1996 nonché dell'art. 644 cod. pen., e, dall'altro, dalla norma dell'art. 2-bis, comma 2, legge 24 gennaio 2009 n. 2, di conversione (con modificazioni) del d.l. 29 novembre 2008, n. 185, secondo cui «gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione a favore della banca, dipendente dall'effettiva durata dell'utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell'applicazione dell'art. 1815 cod. civ., dell'art. 644 cod, pen. e degli art. 2 e 3 legge 7 marzo 1996, n. 108» (cfr. i prossimi numeri 7 e 8). 

Il secondo profilo è introdotto dal tema del rapporto che corre, nel sistema vigente, tra i parametri di costruzione del tasso effettivo medio (TEGM), di cui alle rilevazioni trimestrali del ministero dell'economia, e i parametri di riscontro e verifica dell'eventuale usurarietà dei negozi posti in essere dall'autonomia dei privati (cfr. i numeri da 9 a 11).

7.- La ricostruzione del sistema normativo in materia, che viene svolta dall'orientamento più recente e minoritario, viene avviata coll'esame della norma del comma 2 dell'art. 2 della legge n. 2/2009 (cfr., in modo particolare, il n. 11 della sentenza n. 12965/2016 e il n. 2.3. della sentenza n. 22270/2016).

Tale esame produce, prima di ogni altra cosa, un doppio esito, che le due pronunce realizzano con passaggio immediato, quasi inavvertito. Il primo si sostanzia nell'astrarre dalla complessiva, ampia portata del testo normativo (che appunto riguarda «gli interessi, le commissioni e le provvigioni») l'elemento delle «commissioni»; il secondo nell'identificare il genere di queste commissioni nella specie di quella dì «massimo scoperto».

Ristretto in tal misura il tema complessivamente considerato dalla norma dell'art. 2-bis, l'orientamento in discorso osserva, poi, che «nessun dato testuale esprime alcuna precisa volontà del legislatore di fornire un'"interpretazione autentica" dell’art. 644 cod. pen. e dell'art. 1815 cod. civ.»; e che, d'altra parte, se la «norma avesse inteso proporsi secondo una valenza di interpretazione autentica, non sarebbe agevole dotare di apparente ragione la contemporanea fissazione di un dies a quo per attribuire rilevanza alle CMS nel calcolo del TEGM e, soprattutto, la devoluzione all'autorità amministrativa del compito di fissare un periodo transitorio per consentire alle banche di adeguarsi alla normativa preesistente». 

Fissate queste proposizioni, dal corpo delle medesime l'orientamento ritrae il convincimento che la norma dell'art. 2-bis «integri un vero e proprio mutamento innovativo della disciplina» della materia. Mutamento che viene individuato non già nei confronti dell'insieme normativo formato dall'art. 644 cod. pen. (ovvero art. 1 legge n. 108/1996), né nei confronti del disposto dell'art. 1815 cod. civ., nonostante il testo dell'art. 2-bis a questi vada a riferirsi, ma nei soli confronti del comma 3 dell'art. 644, per cui «la legge stabilisce il lìmite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari».

8.- L'orientamento più consistente muove da un'impostazione opposta, «rovesciata» rispetto a quella adottata dalle sentenze appena riscontrate. Muove, cioè, dall'esame della norma definitoria di cui all'art.:. 1 della citata legge (644 cod. pen.).

Questa norma - si constata - non riguarda solo gli interessi; per la determinazione del tasso usuraio pure si deve tenere conto, in ragione appunto della formale indicazione data dalla legge, «delle commissioni, remunerazioni a qualunque titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse». Perciò, «anche la CMS deve essere tenuta in considerazione» - così si passa a rilevare -, atteso che devono ritenersi «rilevanti, ai fini della determinazione del tasso usurario, tutti gli oneri che l'utente sopporta in relazione all'utilizzo del credito». 

Assunta una simile prospettiva, la successiva introduzione della norma del comma 2 dell'art. 2-bis risulta quasi in automatico assumere i tratti della regola di interpretazione autentica dell'art. 644in quanto puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme»; su questo punto si veda, in particolare, la sentenza n. 12028/2010, donde la frase appena trascritta). Anche perché tale qualificazione, oltre a mantenere valore alla norma definitoria, dà conveniente lettura del complessivo disposto del comma 2 dell'art. 2-bis, come per l'appunto inteso a ribadire che, ai fini dell'usura, contano tutti gli oneri economici   che   risultano   caricati   sul  cliente   (laddove   la regolamentazione transitoria di cui alla parte finale del comma si lega, sub specie dell'usura, al diverso tema regolato dalla norma del comma 1 dell'art. 2-bis, per l'appunto inteso a disciplinare ex novo la materia della nullità della commissione di massimo scoperto).

Del resto, è opinione consolidata di questa Corte che la commissione di massimo scoperto integri, quale costo addossato al debitore, una specifica forma di «remunerazione» del credito (per tutte si veda, da ultimo, Cass., 7 marzo 2017, n. 5609). Sì che una sua esclusione dal novero degli oneri di rilevanza usuraria, e per un periodo più che decennale, dovrebbe   comunque   trovare   -   in   ragione dell'appartenenza della stessa alla specie centrale dei «corrispettivi» - un'oggettiva e forte giustificazione. Né in ogni caso potrebbe assegnarsi peso determinante al fatto che la disposizione dell'art. 2-bis non dichiari in modo espresso di essere norma di interpretazione autentica. Che una norma di legge riproduca i contenuti e termini di una regola già vigente nel sistema è evenienza dì riscontro obiettivo: predicare alla norma dì successiva introduzione la natura di regola innovativa significa, allora, assegnarle un'inaccettabile  forza retroattiva nei confronti della norma di data anteriore (ex post così portando la disposizione nuova a incidere sul significato normativo della vecchia). 

9.- L'altro nodo essenziale, su cui si confrontano gli opposti orientamenti in questione (cfr. sopra, n. 6), riguarda la così detta omogeneità dei dati comparati in punto di usura: da un lato, gli oneri economici presi in considerazione ai finì delle rilevazioni dei TEGM, di cui ai decreti di rilevazione trimestrale del ministero dell'economia; dall'altro, gli oneri economici su cui si deve esercitare la verifica dell'eventuale usurarietà dei negozi posti in essere dall'autonomia dei privati. 

Questo profilo, non poco complesso - posto pure che propone un tema per sé generale della vigente normativa antiusura, non esclusivo della commissione di massimo scoperto -, si compone di più e distinti sottoproblemi. Il primo dei quali attiene alla stessa effettiva sussistenza, nel sistema antiusura che risulta attualmente vigente, di una regola di omogeneità in proposito, nonché del peso che alla stessa andrebbe nel caso riconosciuta.

Non si può trascurare al riguardo che, secondo quanto più volte segnalato dalla giurisprudenza di merito, la normativa della legge n. 108/1996 contempla espressamente l'eventualità della non omogeneità dei dati da porre a confronto. La norma dell'art. 2, comma 1, di tale legge - dopo avere ribadito che le rilevazioni trimestrali del «tasso effettivo globale medio» debbono essere «comprensive di commissioni, di remunerazioni e di spese, escluse quelle per imposte e tasse» - aggiunge, in particolare, che i «valori medi derivanti da tale rilevazione» vengono «corretti in ragione delle eventuali variazioni del tasso ufficiale di sconto successive al trimestre di riferimento». 

In ogni caso è da riscontrare che il contesto della vigente legge antiusura non esplicita una regola di omogeneità dei dati in comparazione; e neppure la suppone in via necessaria. Le stesse istruzioni della Banca d'Italia - che, per la verità, non risultano prese in considerazione nell'ambito della normativa di cui alla legge n. 108/1996 (l’art. 2 di questa affidando le rilevazioni trimestrali al Ministro dell'economia, «sentiti la Banca d'Italia e l'Ufficio italiano dei cambi») - sono in via espressa rivolte esclusivamente agli intermediari (cfr., ad esempio, la «sezione I - istruzioni per la segnalazione», «A. - generalità della rilevazione», «A.2 - soggetti tenuti alla rilevazione» delle istruzioni emanate nell'agosto del 2009). Le dette istruzioni, in altri termini, non hanno, né propongono, alcun contatto o interferenza con i negozi dell'autonomia dei privati.

10.- Un secondo dubbio, che pure risulta di carattere generale per la materia usuraria, si ferma sull'eventualità che i dati stabiliti per le rilevazioni trimestrali non si manifestino corretta espressione del dettato legislativo.

L'indirizzo più recente ritiene che, «quand'anche le rilevazioni effettuate dalla Banca d'Italia dovessero considerarsi inficiate da un profilo di illegittimità (per contrarietà alle norme primarie regolanti la materia ...), questo non potrebbe in alcun modo tradursi nella possibilità, per l'interprete, di prescindervi, ove sia in gioco ... l'applicazione delle sanzioni penali e civili, derivanti dalla fattispecie della c.d. usura presunta, dovendosi allora ritenere radicalmente inapplicabile la disciplina antiusura per difetto dei tassi soglia rilevati dall'amministrazione». 

Di segno opposto è la lettura che del fenomeno dà l'altro orientamento, per cui si deve fare riferimento ai comuni principi dell'ordinamento vigente. «Le circolari e le istruzioni della Banca d'Italia non rappresentano una fonte di diritti e obblighi» " così si rileva - «e, nella ipotesi in cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d'Italia in una circolare, non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo dell'elemento oggettivo». «Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia, neppure quale mezzo di interpretazione».

11.- L'ulteriore dubbio, che viene a proporre il tema della omogeneità dei dati dell'usura, attiene direttamente alla commissione di massimo scoperto.

Le istruzioni emanate dalla Banca d'Italia da sempre (sin da quelle del 1996, cioè) indicano che «la commissione di massimo scoperto non entra nel calcolo del TEG». Peraltro, le stesse istruzioni da sempre aggiungono subito appresso che «essa viene rilevata separatamente, espressa in termini percentuali». In effetti, le rilevazioni trimestrali hanno sempre avuto cura di indicare, in via separata, la percentuale media del peso che tale commissione viene a possedere: percentuale che, a scorrere le rilevazioni susseguitesi nel tempo, risulta variabile, secondo un spettro che grosso modo trascorre dallo 0,40% all'l% (a indice che la misura della percentuale si trova comunque ritratta dalla dinamica di dati, che sono stati rilevati dalla operatività).

Ciò sembra indicare che, nel complesso delle indicazioni date dalla Banca d'Italia, la commissione di massimo scoperto - più che essere dichiarata come irrilevante ai fini della regolamentazione dell'usura -sia ritenuta rilevante, bensì in modo autonomo. Tenuto anche conto del principio per cui l'intera normativa di regolamentazione della materia usuraria - comprese le istruzioni dettate dalla Banca d'Italia -va letta in termini di unitarietà sistematica, come focalizzate sulle regole manifestate dalla norma dell'art. 644 cod. pen. (principio che la giurisprudenza di questa Corte ha già richiamato; cfr. Cass., 5 aprile 2017, n. 8806), sembra non azzardato ipotizzare che questa «rilevanza separata» dipenda dal fatto che la commissione di massimo scoperto è forma di remunerazione del credito che viene applicata non già in via indiscriminata (come gli interessi compensativi o moratori), ma solo in relazione a certe forme tecniche di utilizzo del credito (precisamente alla forma del c.d. «scoperto di conto»). 

In ogni caso è ragionevole presumere che questa continuativa indicazione della commissione di massimo scoperto nei decreti di rilevazione trimestrale risponda a un qualche apprezzabile significato. Se non altro, di allerta della pratica: in funzione di ausilio, cioè, degli organi di vertice delle imprese bancarie che, come riscontra la sentenza di Cass. pen. n. 46669/2011, «hanno il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente, essendo loro attribuiti, dai relativi statuti, poteri in materia di erogazione del credito, rientranti nell'ambito dei più generali poteri di indirizzo dell'impresa».

12.- Segnalato il contrasto esistente nella giurisprudenza di questa Corte, va ancora rilevato che il tema della rilevanza usuraria della commissione di massimo scoperto, sopra rappresentato, si pone pure come «questione di massima dì particolare importanza» ex art. 374 cod. proc. civ.

La stessa, infatti, viene attualmente portata con intensa frequenza all'esame dei giudici, per assumere sovente accenti di forte importanza. A indice del rilievo che la questione riveste oggi a livello di diritto vivente, si richiama qui la recente pronuncia di Cass., 15 febbraio 2016, n. 2910, che ha ritenuto che non può essere considerata «inammissibilmente nuova», «rispetto a una domanda originaria di nullità totale di un contratto di conto corrente bancario», la domanda di nullità parziale concernente la «commissione dì massimo scoperto in relazione al superamento del tasso soglia», che sia stata «introdotta per la prima volta in appello» (a prescindere, cioè, dalla rilevabilità di ufficio di tale vizio).  

In conclusione, il Collegio ritiene di rimettere la causa al Primo presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di questa Corte". (Omissis).

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Nostre note bibliografiche

Le "Istruzioni" impartite da Banca d'Italia "per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull'usura", 8 gennaio 2003, così definiscono la CMS: "... corrispettivo pagato dal cliente per compensare l'intermediario dell'onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell'utilizzo dello scoperto di conto. Tale compenso - che di norma viene applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni - viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento". In senso critico, cfr. P. DAGNA, Profili civilistici dell’usura, Padova, 2008, 403). Sulla natura giuridica di tale voce, la letteratura è vastissima; cfr. in  generale, B. INZITARI- P. DAGNA, Commissioni e spese nei contratti bancari,  Padova  2010;  M. TATARANO, La commissione di massimo scoperto: profili giusprivatistici, Napoli 2004; G. MOLLE-D. DESIDERIO, Manuale di diritto bancario, Milano 1997, pag. 179; C. RUGGIERO, La « nuova » commissione di massimo scoperto dopo il decreto « anti-crisi », in Contratti, 2010, 58. Per un’ampia ricostruzione dei vari profili problematici che investono tale voce di costo ed il relativo rapporto con la normativa antiusura, cfr. anche M. CIAN, Questioni in tema di commissione di massimo scoperto: a volte ritornano (anzi, sono sempre state qui), nota a Cass. civ., sez. I, 22/06/2016, n. 12965; a Trib. civ., Pavia, sent. 20/09/2016; a Trib. civ., Pavia, sent. 08/09/2016; a Trib. civ., Monza, sent. 18/01/2016;  a ABF, sez. Coll. coord., dec. 28/07/2014, n. 4838; a ABF, Roma, dec. 31/03/2014, n. 1916, in Giur. comm., 2017, n.1, II, 14 ss.; ID, Il costo del credito bancario alla luce dell’art. 2-bis l.2/2009 e della l. 102/2009: commissione di massimo scoperto, commissione di affidamento, usura, in Banca, borsa, 2010, I, 182 ss.; ID, Costo del credito bancario e usura. Ancora sulle commissioni bancarie, sullo ius variandi e sull’azzeramento del tasso oltre soglia, in Obbl. contr., 2012, 655 ss.; M. MARCHESI, Commissione di massimo scoperto e determinatezza della relativa clausola: il frutto maturo della giurisprudenza, nota a Trib. civ., Prato, sent. 05/11/2013, in Banca Borsa, 2015, n.1, II, 24 ss. Per un’analisi chiara delle diverse tipologie di commissione, si veda FERRO-LUZZI, Ci risiamo. A proposito dell’usura e della commissione di massimo scoperto, in Giur. comm., 2006, n.5, I, 671 ss.

Le Istruzioni della Banca d’Italia, dalla prima versione del 30.09.1996 e sino alle successive fino al 2009, allorquando ne è stata modificata la disciplina con la L. 2/2009, avevano sempre escluso dal calcolo del TEGM, rilevandola separatamente in termini percentuali.

Conseguentemente e conformemente al meccanismo delineato all’art. 2 della L.n.108/1996, i decreti ministeriali (a partire dal primo del 22.03.1997 e fino al d.m. del 24.09.2009[1]), avevano costantemente precisato (al comma 2 dell’art.1) che: “I tassi soglia non sono comprensivi della commissione di massimo scoperto eventualmente praticata”, la cui percentuale media rilevata nel trimestre di riferimento veniva, invece, riportata separatamente in nota alla tabella dei TEGM, verosimilmente per ragioni statistiche. L’asserita non conformità, rispetto al dato legislativo, del metodo di rilevazione adottato dalla Banca d’Italia aveva comportato il sorgere di non poche perplessità in merito alla esclusione della c.m.s. dal calcolo[2].

Per eliminare ogni dubbio sulla questione, il legislatore era intervenuto attraverso l’art. 2-bis, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in l. 28 gennaio 2009, n. 2, il cui comma 2 precisava che «Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108. Il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Banca d’Italia, emana disposizioni transitorie in relazione all’applicazione dell’articolo 2 della legge 7 marzo 1996, n. 108, per stabilire che il limite previsto dal terzo comma dell’articolo 644 del codice penale, oltre il quale gli interessi sono usurari, resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni».

Coerentemente con  la  nuova  disposizione,  la  Banca  d’Italia  mutava il proprio pregresso indirizzo, tanto che nelle nuove istruzioni dell’agosto 2009, al punto 7 del paragrafo C4, si stabiliva che si considerano inclusi nel procedimento di calcolo del tasso «gli oneri per la messa a disposizione dei fondi, le penali e gli oneri applicati nel caso di passaggio a debito di conti non affidati o negli sconfinamenti sui conti correnti affidati rispetto al fido accordato e la commissione di massimo scoperto laddove applicabile secondo le disposizioni di legge vigenti»[3].

In tale contesto normativo la Suprema Corte, in sede penale, si era pronunciata in modo deciso nel senso dell’inclusione, anche anteriormente al gennaio 2010, della c.m.s., quale voce di costo “collegata all’erogazione del credito”, nel calcolo del TEGM, affermando che quella interpretazione risultava avvalorata dalla normativa sopravvenuta in materia di contratti bancari - art. 2-bis l. 28 gennaio 2009, n. 2 -, ritenendo che detta disposizione avesse natura interpretativa[4] dell’art.  644  c.p., comma  IV, in  quanto  puntualizza  cosa  rientra  nel  calcolo  degli  oneri  ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme.

Quell’orientamento, risalente al 2010 (Cass. pen., sez. II, 26 marzo 2010, n. 12028[5] e 22 luglio 2010, sez. II, n. 28743[6]) e ribadito nel 2011(Cass. pen., sez. II, 23 novembre 2011, n. 46669[7]), aveva offerto un segnale di chiusura del dibattito, fino a  quando  la  prima sezione della Corte  di  Cassazione, in  sede  civile, è tornata sul tema, nel 2016, per  escludere, dapprima con due pronunce conformi[8], la natura interpretativa della normativa menzionata,  provvedendo poi, da ultimo, a rimettere al Primo Presidente, per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite Civili, la questione della rilevanza usuraria della c.m.s., se cioè essa debba essere inclusa nella formula per il calcolo del TEG anche per il periodo anteriore al gennaio 2010, ai sensi dell’art. 2-bis, comma 2, della legge n. 2 del 2009[9].

 



[1] L’ultimo prima dell’entrata in vigore della L. 2/2009.

[2] La Banca d’Italia aveva tentato di risolvere la problematica con la nota del 2.12.2005 precisando che, seppure sarebbe stato corretto non conteggiare la c.m.s. all’interno del T.E.G.M., ciascun intermediario la doveva comunque tenere presente nella verifica del rispetto delle soglie di legge, sia rapportando il tasso effettivamente applicato a quello medio, aumentato del 50%; sia confrontando l’ammontare percentuale della c.m.s. praticata con quella c.d. “soglia”, risultante dalla c.m.s. media pubblicata nelle tabelle, aumentata del 50%. Laddove fossero risultati eventuali superi, gli intermediari avrebbero dovuto attivarsi per la loro eliminazione prima della relativa applicazione alla clientela. Tuttavia, precisava ancora l’Organo di vigilanza nella nota, il semplice superamento della “soglia” non determinava l’usurarietà del rapporto, che sarebbe risultata, invece, da una valutazione complessiva delle condizioni applicate. A tal fine, per ogni trimestre, l’importo della c.m.s. percepita in eccesso doveva essere confrontata con l’ammontare degli interessi ( ulteriori rispetto a quelli in concreto praticati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti. Laddove l’eccedenza della c.m.s. rispetto al tasso soglia fosse risultata superiore rispetto a tale margine, il rapporto sarebbe risultato usurario.

[3] Le Istruzioni  in  parola,  entrate  in  vigore  il  1º  gennaio  2010,  determinavano l’adeguamento anche del d.m. successivo.

[4] La Corte Costituzionale ha precisato che «la legge interpretativa ha lo scopo  di chiarire “situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo”, in ragione di “un dibattito giurisprudenziale irrisolto” (sentenza n. 311 del 2009), o di “ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore” (ancora sentenza n. 311 del 2009), a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini» (sentenze n. 103 del 2013 e n. 78 del 2012).

[5] Cass. pen., sez. II, 19 febbraio 2010, n. 12028, è annotata, con vari accenti e sfumature, da: M. ARNONE, Riflessioni penalistiche in tema di commissioni di massimo scoperto e usura, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2011, n. 1/2, 213 ss.; A. DI LANDRO, La Cassazione penale include la commissione di massimo scoperto nel tasso d`interesse usurario: la l. 2/09, le questioni intertemporali e un inedita ricostruzione dell`elemento soggettivo, in Foro it., 2010, n. 7/8, II, 390 ss.; R. MARCELLI, Le commissioni di massimo scoperto e le soglie d`usura. La Cassazione penale ridimensiona la Banca d`Italia, in Dir. banca mercato fin., 2010, n. 4, I, 709 ss.; S. GRINDATTO, Sul computo della commissione di massimo scoperto nella determinazione del tasso usurario, in Giur. It., 2010, n. 11, 2407 ss.; A. CUGINI, Sulla valutazione del carattere usurario del tasso di interesse praticato dagli istituti bancari, in Cass. pen., 2010, n. 12, 4140 ss.

[6] Cass. pen., sez. II, sent. 22/07/2010, n. 28743, è commentata da L.TROYER, S.CAVALLINI, Usura presunta e commissione di massimo scoperto: il disorientamento dell’operatore bancario tra “indicazioni erronee” dell’Autorità ed “autentiche” del Legislatore al vaglio della Suprema Corte, in Riv. dott. Comm., 2011, n. 4,  945 ss.

[7] Cass. pen., sez. II, sent. 19/12/2011, n. 46669, è annotata da: M. PILONI, Usura bancaria e commissione di massimo scoperto: l’elemento oggettivo e soggettivo del reato, in Dir. pen. proc., 2012, n.6, 736 ss.; F. BOMBA, La riforma del delitto di usura e questioni di diritto intertemporale, in Arch. pen., 2012, n.3, 1129 ss. Secondo detta pronuncia “…anche la CMS devi essere tenuta in considerazione quale fattore potenzialmente produttivo di usura, essendo rilevanti ai fini della determinazione del tasso usurario, tutti gli oneri che l'utente sopporta in relazione all'utilizzo del credito, indipendentemente dalle istruzioni o direttive della Banca d'Italia (circolare della Banca d'Italia 30.9.1996 e successive) in cui si prevedeva che la CMS non dovesse essere valutata ai fini della determinazione del tasso effettivo globale degli interessi, traducendosi in un aggiramento della norma penale che impone alla legge di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Le circolari e le istruzioni della Banca d'Italia non rappresentano una fonte di diritti ed obblighi e nella ipotesi in cui gli istituti bancari si conformino ad una erronea interpretazione fornita dalla Banca d'Italia in una circolare, non può essere esclusa la sussistenza del reato sotto il profilo dell'elemento oggettivo. Le circolari o direttive, ove illegittime e in violazione di legge, non hanno efficacia vincolante per gli istituti bancari sottoposti alla vigilanza della Banca d'Italia, neppure quale mezzo di interpretazione, trattandosi di questione nota nell'ambiente del commercio che non presenta in se particolari difficoltà, stante anche la qualificazione soggettiva degli organi bancari e la disponibilità di strumenti di verifica da parte degli istituti di credito”. Ed ancora: “La materia penale è dominata esclusivamente dalla legge e la legittimità si verifica solo mediante il confronto con la norma di legge (art. 644 c.p., comma 4) che disciplina la determinazione del tasso soglia che deve ricomprendere le remunerazioni a qualsiasi titolo", ricomprendendo tutti gli oneri che l'utente sopporti in connessione con il credito ottenuto e, in particolare, anche la CMS che va considerata quale elemento potenzialmente produttivo di usura nel rapporto tra istituto bancario e prenditore del credito. Appare pertanto illegittimo lo scorporo dal TEGM della CMS ai fini della determinazione del tasso usuraio, indipendentemente dalle circolari e istruzioni impartite dalla Banca d'Italia al riguardo”.

[8] Il riferimento è a Cass. civ., sez. I, 22/06/2016, n. 12965, Est. M. FERRO, annotata da M. CIAN,  Questioni in tema di commissione di massimo scoperto: a volte ritornano (anzi, sono sempre state qui), cit., 14 ss.; criticamente da V. FARINA, Clausola di salvaguardia, commissione di massimo scoperto e divieto delle usure, in Contratti, 2016, n.11, 976 ss.; A. DE CARLO, R. CAPRA, Usura bancaria. Ancora sulla CMS e sul ruolo delle istruzioni della Banca d'Italia, in Riv. dott. comm., 2016, n.4, 652 ss.; U. SALANITRO,  Usura e commissione di massimo scoperto: la Cassazione civile riconosce il valore vincolante del principio di simmetria, in Nuova giur. civ. comm.,2016, n.12, I , 1600 ss; nonché a Cass. civ., sez. I, 3 novembre 2016, n. 22270, Est. MERCOLINO.

La pronuncia n.12965 cit., dopo avere rilevato come la nuova disciplina in tema di C.m.s. non contenga un chiaro regime di diritto intertemporale rivolto al periodo precedente alla sua entrata in vigore, esclude che la normativa in parola abbia i caratteri della legge di interpretazione autentica, ricorrendo di contro “un vero e proprio mutamento innovativo nella disciplina complessivamente intesa”. A sostegno dell’inesistenza del carattere interpretativo della novella in parola si mette in rilievo come la disciplina in questione non esprima “in modo univoco l’intento del legislatore di imporre un determinato significato a precedenti disposizioni di pari grado, così da far regolare dalla nuova norma fattispecie sorte anteriormente alla sua entrata in vigore”. Al più si riconosce al dettato normativo la funzione di “dettare una restrizione di rigore non più controvertibile per il futuro, senza dissipare a posteriori i dubbi ermeneutici che pur l’avevano preceduta”. Ed ancora, sostiene la Suprema Corte, che “la contemporanea fissazione di un dies a quo per attribuire rilevanza alle C.M.S.nel calcolo del TEGM” e l’attribuzione all’Autorità amministrativa “del compito di fissare un periodo transitorio per consentire alle banche di adeguarsi alla normativa preesistente” priva di ragionevolezza la tesi che intenda assegnare alla norma in parola i connotati di interpretazione autentica. La Corte ritiene persuasiva la tesi che afferma “la necessità di utilizzare, nella rilevazione dei tassi usurari, dati tra loro effettivamente comparabili. Come osservato in dottrina, la fattispecie della cd. usura oggettiva (presunta), o in astratto, è integrata a seguito del mero superamento del tasso-soglia, che a sua volta viene ricavato mediante l'applicazione di uno spread sul TEGM; posto che il TEGM viene trimestralmente fissato dal Ministero dell'Economia sulla base delle rilevazioni della Banca d'Italia, a loro volta effettuate sulla scorta delle metodologie indicate nelle più volte richiamate Istruzioni, è ragionevole che debba attendersi simmetria tra la metodologia di calcolo del TEGM e quella di calcolo dello specifico TEG contrattuale. Il giudizio in punto di usurarietà si basa infatti, in tal caso, sul raffronto tra un dato concreto (lo specifico TEG applicato nell'ambito del contratto oggetto di contenzioso) e un dato astratto (il TEGM rilevato con riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione), sicchè - se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo - il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato”. Da ciò il convincimento che “quand'anche le rilevazioni effettuate dalla Banca d'Italia dovessero considerarsi inficiate da un profilo di illegittimità (per contrarietà alle norme primarie regolanti la materia, secondo le argomentazioni della giurisprudenza penalistica citata), questo non potrebbe in alcun modo tradursi nella possibilità, per l'interprete, di prescindervi, ove sia in gioco - in una unitaria dimensione afflittiva della libertà contrattuale ed economica - l'applicazione delle sanzioni penali e civili, derivanti dalla fattispecie della cd. usura presunta, dovendosi allora ritenere radicalmente inapplicabile la disciplina antiusura per difetto dei tassi soglia rilevati dall'amministrazione”.

[9] Cass. civ., sez. I, 20 giugno 2017, Est. A.A. DOLMETTA.

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