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Interessi di mora, c.m.s. ed usura: il Tribunale di Catania afferma la conformità a diritto dell'indicazione metodologica delle Istruzioni della Banca d'Italia

  • Autore:

    G. MANTOVANO

Interessi di mora, c.m.s. ed usura: il Tribunale di Catania afferma la conformità a diritto dell'indicazione metodologica delle Istruzioni della Banca d'Italia

Per la rilevanza delle questioni esaminate, riportiamo uno stralcio di Trib. Catania Sez. IV, Sent., 07-02-2017, G.U. G. Marino.

Vari i temi trattati:

- l'assoggettamento ad usura degli interessi moratori;

- l'esclusione del cumulo degli interessi moratori con gli interessi convenzionali ai fini del rispetto del tasso soglia;

- la rilevanza ai fini del sindacato di usurarietà delle Istruzioni della Banca d'Italia;

- la circolare della Banca d'Italia del 3 luglio 2013 e l'adozione per la verifica di usurarietà degli interessi moratori del criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia;

- l'esclusione della C.m.s. dal calcolo del TEG  ante 2009;

- la necessità di allegazione, in capo alla parte attrice, dei d.m. trimestrali illustrativi dei tassi soglia.

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Motivi della decisione

La domanda relativa al rapporto di mutuo è infondata e deve essere rigettata.

Si osserva quanto segue: a) è pacifico che l'interesse ultralegale pattuito dalle parti alla data del 16.7.2007 fosse rispettoso, in sé considerato, del c.d. tasso soglia, se riferito al solo tasso corrispettivo del 6.05% essendo il tasso soglia pari al 8.865%); b) parimenti indubbio sarebbe il superamento di tale soglia ove si dovesse procedere, come ritiene parte attrice, al cumulo degli interessi corrispettivi con quelli moratori.

Ciò detto, la "quaestio iuris" che viene in esame è, dunque, quella della rilevanza del cumulo degli interessi corrispettivi ultralegali e moratori ai fini del rispetto del tasso-soglia.

Erroneamente parte attrice fonda la propria domanda sul recente intervento della Suprema Corte (sentenza 350/2013), facendone discendere dall'assunto (corretto) che anche gli interessi moratori debbano rispettare essi stessi il c.d. tasso soglia ex L. n. 108 del 1996, quello (inesatto) per cui essi vanno cumulati a quelli convenzionali in ragione dell'art. 644, c. 3, c.p. e dell'art. 1815, c. 2, c. civ. per i quali rilevano gli interessi corrisposti" a qualunque titolo" (il punto della motivazione della Suprema Corte che ingenera l'equivoco è il seguente: "ai fini dell'applicazione dell'art. 644 c.p., e dell'art. 1815, comma 2, c.c. si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori").

In realtà dal tenore della motivazione della citata sentenza non emerge in alcun modo la dedotta teoria del cumulo degli interessi corrispettivi e di mora, emergendo solo la (ovvia) considerazione che anche gli interessi di mora debbano mantenersi entro i limiti della L. n. 108 del 1996 (ponendo - così - in realtà il vero problema, non oggetto di questo giudizio, di quale sia la sorte degli interessi del contratto di mutuo in caso di interessi di mora usurai: applicazione comunque degli interessi corrispettivi convenzionali pattuiti tra le parti ovvero eliminazione di qualunque interesse).

Mentre, difatti, può darsi per assodato l'assoggettamento "anche" degli interessi di mora alla disciplina imperativa in tema di usura, non altrettanto può ripetersi per l'ipotesi del loro cumulo con quelli corrispettivi. Si osserva, al riguardo, che tale esito (ciò è a dire l'assoggettamento alla disciplina cogente sull'usura del cumulo degli interessi corrispettivi e moratori) in tanto potrebbe essere condivisa in quanto fosse dimostrata, in coerenza con la ratio legis, l'identità ontologica e funzionale delle due categorie di interessi.

Orbene, la conclusione cui perviene parte attrice, non pare conciliabile con il dato normativo emergente dagli artt. 644 e 1815 cit. Ciò perché, al di là di ogni ragionevole dubbio, le norme menzionate - insuscettibili di interpretazione analogica (non sfugge come l'art. 644 c.p. operi, a tutti gli effetti, come norma penale in bianco, soggetta, come tale, ai rigori esegetici del combinato disposto degli artt. 14 delle preleggi e 1 c.p.) - fanno chiaro riferimento alle prestazioni di natura "corrispettiva" gravanti sul mutuatario (siano esse interessi convenzionali, remunerazioni, commissioni o spese diverse da quelle legate ad imposte e tasse), tali intendendosi in dottrina quelle legate alla fisiologica attuazione del programma negoziale.

Restano, così, escluse le prestazioni accidentali (e perciò meramente eventuali (quand'anche predeterminate convenzionalmente nelle forme del saggio di mora o, come pure potrebbe accadere, attraverso idonea clausola penale) sinallagmaticamente riconducibili al futuro inadempimento e destinate, in quanto tali, ad assolvere, in chiave punitiva (come fatto chiaro, tra l'altro, dall'art. 1224 c.civ. proprio in tema di interessi di mora, lì doveri introduce coattivamente, in misura pari al saggio legale, anche laddove l'obbligazione pecuniaria originaria non li avesse previsti), alla diversa funzione di moral suasion finalizzata alla compiuta realizzazione di quel "rite adimpletum contractum" costituente, secondo i principi, l'interesse fondamentale protetto (art. 1455 c.civ.).

Quanto teste rilevato consente, quindi, di affermare la conformità a diritto dell'indicazione metodologica seguita dalla Banca d'Italia la quale, nelle proprie Istruzioni destinate a rilevare il T.E.G.M. (tasso effettivo globale medio) ai fini dell'art. 2 della L. n. 108 del 1996, dispone espressamente quanto segue (così, ad es., la Comunicazione del 3.7.2013): "4. I TEG medi rilevati dalla Banca d'Italia includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi all'erogazione del credito (n.d.e.: enfasi dell'estensore). Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell'erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L'esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela. Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l'inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora. L'esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata nei Decreti trimestrali del Ministero dell'Economia e delle Finanze i quali specificano che "i tassi effettivi globali medi (...) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento".

La Banca d'Italia, in conformità all'orientamento dominante, non omette affatto di considerare gli interessi di mora ai fini della L. n. 108 del 1996, salvo disaggregarne opportunamente il dato rispetto a quello derivante dall'ordinaria rilevazione del TEGM. Così, ancora, la citata Comunicazione del 3.7.2013: "In ogni caso, anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura. Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i Decreti trimestrali riportano i risultati di un'indagine per cui "la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali". In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la Banca d'Italia adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo (cfr. paragrafo 1)."

Da quanto sopra deriva, pertanto, l'irrilevanza giuridica del cumulo delle due voci di interesse menzionate ai fini della disciplina in esame, non solo per la ricordata eterogeneità teleologica (id est, finalità negoziale) puntualmente confermata dagli artt. 644 c.p. e 1815 c.civ., ma anche in ossequio al principio del "nullum crimen sine lege" (art. 1 c.p.). Occorre, difatti, ricordare come, in tema di usura, l'art. 3, comma 2, del Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze recepisca pedissequamente le rilevazioni di Banca d'Italia ("le banche e gli intermediari finanziari, al fine di verificare il rispetto del limite di cui all'art. 2, comma 4, della L. 7 marzo 1996, n. 108, si attengono ai criteri di calcolo delle istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull'usura emanate dalla Banca d'Italia"). Premessa, invero, l'identità ontologica dell'usura penale e civile, la tesi del "cumulo" condurrebbe all'abnorme risultato di configurare il reato corrispondente in difetto di norma incriminatrice. Non può sfuggire, invero, il rinvio "alla legge" che il comma terzo dell'art. 644 c.p. effettua ai fini della determinazione del tasso usurario, legge qui del tutto assente.

Tanto basta, in definitivi ad escludere la responsabilità penale degli operatori che, facendo legittimo affidamento sulla liceità dei decreti ministeriali via via emanati sul punto, rispettino il tasso soglia disaggregato, e ciò non già--si badi - per carenza dell'elemento soggettivo della fattispecie penalmente rilevante bensì per carenza, in radice, dello stesso elemento oggettivo del reato.

La tesi "all inclusive" su cui poggia la domanda attorea appare, inoltre, frutto di un'interpretazione "monca" dell'art. 2, c. I, della L. n. 108 del 1996 lì dove sottintende (in una con parte della giurisprudenza di merito che ha affrontato il tema con riferimento alle c.m.s.) il conflitto del modus operandi della Banca d'Italia con la legge cit. Si dimentica, difatti, di evidenziare come proprio l'art. 2 L. cit. statuisca che le rilevazioni trimestrali del tasso effettivo globale medio, improntate al principio di omnicomprensività di commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese (escluse quelle per imposte e tasse), debbano comunque avvenire nell'ambito di "operazioni della stessa natura". Ecco spiegato, dunque, il motivo per cui a ragion veduta, come dà conto puntualmente con la citata Comunicazione del 3.7.2013, BankItalia non ha inteso annoverare direttamente gli interessi moratori nel saggio del T.E.G.M., facendole invece oggetto di autonoma rilevazione finalizzata all'enucleazione di una specifica soglia usuraria ad hoc, evitando di omogeneizzare categorie di interessi pecuniari finanziariamente eterogenei, il tutto paradossalmente in danno dei clienti delle banche.

L'esclusione del citato cumulo ai fini della verifica della rispondenza o meno ai limiti del tasso soglia è - peraltro - l'opinione dominante nella giurisprudenza di merito: cfr. Trib. Trani 10.3.2014; Trib. Napoli 18.4.2014; Trib. Verona 30.4.2014; Trib. Sciacca 13.8.2014; Trib. Roma 16.9.2014; Trib. Udine, 26 settembre 2014; Trib. Taranto, 17 ottobre 2014; Trib. Napoli, 28 ottobre 2014, Trib. Treviso, 9 dicembre 2014; Trib. Bologna 17.02.2015; Trib. Padova 10.3.2015).

Amche il tasso di mora - isolatamente considerato - rispetta il tasso soglia per come individuato dalle Istruzioni della Banca d'Italia, come peraltro emerge anche da quanto in precedenza esposto.

Ebbene, è noto che le rilevazioni trimestrali dei tassi effettivi globali medi (TEGM) da parte della Banca D'Italia non hanno mai tenuto conto degli interessi di mora perché gli stessi non sono dovuti dal momento dell'erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente. L'esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela.

Quindi, in assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori e per evitare il confronto tra grandezze disomogenee (TAEG applicato al cliente, comprensivo di interessi moratori, e TEGM non comprensivi della mora), la Banca d'Italia (circolare del 3 luglio 2013) adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo.

 Non si tratta di applicare circolari amministrative, anziché la legge ma di prendere definitivamente co scienza che, rapportare gli oneri di mora ad un tasso soglia basato sul TEGM dei mutui, significa ancora una volta confondere grandezze disomogenee, in quanto quel TEGM è ricavato sulla scorta di interessi ed altri oneri corrispettivi parametrati all'entità e alla durata del finanziamento, laddove gli oneri di mora prescindono dal fattore tempo e anche dall'entità del finanziamento, essendo legati invece all'entità dell'inadempimento (Tribunale Cremona, ordinanza del 9 gennaio 2015). In definitiva, il tasso soglia di riferimento per valutare il carattere usurario degli interessi moratori è rappresentato dal TEGM maggiorato di. 2,1 punti (in questi sensi anche Trib. Verona 30.4.2014; Trib. Padova 23.9.2014; Trib. Pescara 20.10.2015; Trib. Lanciano 14.3.2016). Ed allora, tornando al caso che ci occupa, il valore del tasso soglia alla stipula del mutuo era pari a 8.865% che, ai fini della verifica che qui interessa ed in applicazione degli esposti principi, deve essere maggiorato di 2,1 punti, per cui diventa pari a 10.965%. E poiché gli interessi moratori convenuti dalle parti sono pari a 8.30%, deve ritenersi che gli stessi non siano usurari.

Altresì infondata è la domanda relativa al rapporto di c.c..

Non sussiste problema alcuno legato alla approvazione tacita degli estratti conto periodicamente inviati all'attore, dai quali risulta sia il calcolo degli interessi nella misura pretesa che la loro capitalizzazione trimestrale.

Ed infatti l'approvazione ha natura meramente enunciativa e confessoria dei fatti storici annotati negli estratti ed impedisce solo la contestazione degli accrediti ed addebiti sotto il profilo contabile (cfr. Cass. civ., Sez.I, 20/02/1998, n.1846). L'efficacia della approvazione da parte del correntista non comprende anche la validità dei titoli in bae ai quali l'estratto conto è stato compilato e, cioè, del fondamento giuridico delle annotazioni (Cass. civ., Sez.I, 17/04/1999, n.3845). Di conseguenza, è pienamente legittimo - nonostante la predetta approvazione - verificare la validità e l'efficacia dei rapporti obbligatori, da cui scatutiscono le partite annotate (Cass. civ., Sez.I, 11/09/1997, n.8989).

Parte attrice si è limitata a richiedere in via del tutto generica e priva di riferimenti una c.t.u. al fine di accertare l'esatto ammontare del credito, e ciò nonostante a) il contratto in questione in questione sia stato stipulato nel 2007 con previsione della capitalizzazione trimestrale sia degli interessi debitori che di quelli creditori (e ciò in conformità al disposto dell'art. 120 comma II D.Lgs. n. 385 del 1993 - il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori - comma aggiunto dall'art. 25, D.Lgs. 4 agosto 1999, n. 342 e le cui modalità e criteri sono stati stabiliti con Del.CICR 9 febbraio 2000 in Gazz. Uff. 22 febbraio 2000, n. 43); b) sia stata contestata l'applicazione di interessi ultralegali al rapporto di c/c in questione, senza - però- avere mai prodotto i d.m. trimestrali di riferimento (il cui onere incombe sulla parte che ne eccepisca la violazione. E' pacifico come sia onere della parte che deduca in giudizio l'applicazione del tasso usurario allegare ed indicare i modi, i tempi e la misura del superamento del tasso c.d. "soglia" (cfr. Trib. Ferrara 5.12.2013 n. 1223). Peraltro, come più volte chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, la natura di atti meramente amministrativi dei decreti ministeriali rende ad essi inapplicabile il principio "iura novit curia" di cui all'art. 113 cod. proc. civ, da coordinarsi, sul piano ermeneutico, con il disposto dell'art. 1 delle preleggi, che non comprende, appunto, i detti decreti tra le fonti del diritto (ex multis, Cass.civ., SS.UU., 29.04.2009, n.9941), ragion per cui l'onere di allegazione gravante sulla parte che deduca l'applicazione di interessi usurari comprende anche la produzione dei decreti appena citati); c) con riferimento alla dedotta illegittimità della cms - pattuite in contratto - va rilevato che il contratto in esame è del 2.7.2007: solo successivamente è intervenuto lo stesso legislatore a disciplinare la c.m.s., dapprima con l'art. 2-bis, D.L. n. 185 del 2008, conv. dalla L. n. 2 del 2009 e quindi con l'art. 117-bis TUB (introdotto con la L. n. 214 del 2011), il che attesta che anche l'ordinamento positivo ha riconosciuto la meritevolezza degli interessi perseguiti con la pattuizione della c.m.s. Quanto alla necessità di computare le cms nel calcolo del tasso soglia ex L. n. 108 del 1996, deve osservarsi quanto segue: solo dall'agosto 2009 - ovvero a seguito della disposizione di cui all'art. 2 bis di 185/2008 come convertito dalla L. n. 2 del 2009 - la Banca d'Italia ha incluso la commissione di massimo scoperto quale elemento da computare nella base di calcolo del Tasso Effettivo Globale, con l'espressa salvezza del pregresso. E pertanto da escludere l'usurarietà dei tassi d'interesse determinati con l'inclusione della cms, ove pattuiti prima di tale data, in quanto la L. n. 108 del 1996 ha determinato la vigenza di un criterio legale pienamente tipico e tassativo di determinazione del TEG - fondato su norme parzialmente in bianco - che privilegia senz'altro, in ultima analisi, i contenuti della procedura amministrativa assunti sulla base delle rilevazioni trimestrali ed attratti in fonti normative (i DM succedutisi nel tempo) di rango secondario "abilitate" (cfr. Trib. Ferrara 2.7.2014; Trib. Milano 3.6.2014; Trib. Verona 9.12.2013; Corte Appello Milano ord. 24.6.2014). Non si sconosce il contrario orientamento per il quale la portata della L. n. 2 del 2009 si risolve nella mera conferma della "disciplina vigente" e cioè nel richiamo dell'art. 644 c.p. e non delle circolari della Banca d'Italia, che sono pacificamente sprovviste di portata normativa. Il tenore dell'art. 2-bis di detta legge, in particolare, ha mera valenza chiarificatrice di un dato che era già contenuto nella legge sull'usura, quale quello della determinazione del costo del denaro con riferimento a tutte le remunerazioni caricate, commissione di massimo scoperto compresa (cfr. Appello Cagliari 31 marzo 2014 ). Invero, la commissione di massimo scoperto dovrebbe essere tenuta in considerazione quale fattore potenzialmente produttivo di usura, essendo rilevante ai fini della determinazione del tasso usurario tutti gli oneri che il cliente sopporta in relazione all'utilizzo del credito e ciò indipendentemente dalle Istruzioni della Banca d'Italia nelle quali si prevede che la commissione di massimo scoperto non debba essere valutata ai fini della determinazione del tasso effettivo globale, traducendosi questa interpretazione in un aggiramento della norma penale che impone alla legge di stabilire il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari (cfr. Tribunale Roma 23 gennaio 2014 ). Questo Tribunale ha - però - già aderito alla prima opzione interpretativa (cfr. sentenza 4018/2013 est. Fichera A.), rilevando sostanzialmente che non appare logico che si includa la cms nel tasso applicato dalle banche, quando invece nel tasso rilevato la medesima, pur essendo applicata abitualmente, era certamente esclusa.

E' assolutamente evidente che in tale contesto una eventuale c.t.u. contabile si appalesa del tutto inammissibile, avendo carattere esclusivamente esplorativo e totalmente sostitutivo dell'onere probatorio incombente sulla parte.

Infine non può non rilevarsi come non possa farsi riferimento nella specie al principio espresso da ultimo da Cass. Civ. sez. I 15.3.2016 n. 5091 secondo cui quando la parte chieda una consulenza contabile sulla base di una produzione documentale, il giudice non può qualificare come esplorativa la consulenza senza dimostrare che la documentazione esibita sarebbe comunque irrilevante, avendo natura esplorativa solo la consulenza finalizzata alla ricerca di fatti, circostanze o elementi non provati dalla parte che li allega e non la consulenza intesa a ricostruire l'andamento di rapporti contabili non controversi nella loro esistenza.

Tale principio può essere condiviso nelle ipotesi in cui a fronte della produzione documentale della parte e della allegazione dei fatti da sottoporre ad indagine peritale non venga offerta alcuna giustificazione della sua irrilevanza. Viceversa, ritiene questo giudice che tutte le volte che sia possibile eliminare in radice sulla base della stessa documentazione da sottoporre all'esame del consulente le censure mosse dal richiedente la consulenza, di modo che non resti spazio alcuno per campi di indagine di natura tecnica, il disporre la consulenza si porrebbe in aperto contrasto con il principio della ragionevole durata del processo e con il fatto che la c.t.u. non è un mezzo di prova ma uno strumento di ausilio al giudice per risolvere questioni richiedenti specifiche competenza tecniche.

Le spese del giudizio seguendo la soccombenza vanno poste a carico di parte attrice.

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Nota nostra

Il grassetto ed il corsivo sono a cura dello studio.

Più in generale, per ulteriori riferimenti bibliografici e senza alcuna pretesa di esaustività, a far data dal 2001, vedasi il link REATO di USURA, tratto da www.iusimpresa.com - Osservatorio bibliografico del Diritto dell'economia . 

 

 

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