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Il rapporto difficile tra banche e crediti deteriorati

  • Fonte:

    Il Nuovo Quotidiano di Puglia - 5 ottobre 2016

  • Autore:

    G. MANTOVANO

Allegati:

Conosciuti in gergo tecnico con l’acronimo “NPL”, alla lettera “Non Perfoming  Loans”,  i crediti deteriorati delle banche italiane costituiscono una delle incognite che grava sulla ripresa del sistema economico italiano.

Le definizioni di credito deteriorato in ambito UE sono molto eterogenee e quella adottata dalle banche italiane è particolarmente ampia.

Stando ad un’interessante ricerca pubblicata sul sito della Banca d’Italia, dal suggestivo titolo “Quanto valgono i crediti deteriorati?”, essi ammontavano, a dicembre 2015, a circa 360 miliardi, al lordo delle corrispondenti rettifiche di valore, ossia al 18,1% del totale dei crediti verso clientela. Le sofferenze lorde, cioè la categoria peggiore di detti crediti, risultavano pari a 210 miliardi (il 10,6% dei crediti complessivi).

Il volume di tale stock, in rapporto al credito, è, in ambito europeo, inferiore solo a quello di Cipro, Grecia e Irlanda (la stima è tratta da Cerved).

Come ha ricordato il Governatore della Banca d’Italia, in occasione della recente (19 aprile 2016) audizione presso la VI Commissione Finanze del Senato, avente ad oggetto l’indagine conoscitiva sulle condizioni del sistema bancario e finanziario italiano, l’elevato livello dei crediti deteriorati continua a rappresentare il principale fattore di vulnerabilità delle banche italiane.

Per meglio comprendere la genesi del problema va detto che l’Italia ha attraversato, dal 2008 a oggi, la crisi economica più grave dal dopoguerra. Una crisi innescata dall’esplosione delle insolvenze nel settore dei cosiddetti mutui subprime negli Stati Uniti e poi riflessasi sui mercati di alcune attività complesse e di difficile valutazione, mediaticamente note come “titoli tossici”.

Quando ci si è resi conto che anche alcune banche europee – non quelle italiane – erano esposte in misura significativa verso questi strumenti finanziari, il mercato interbancario dell’area dell’euro è arrivato quasi al collasso.

La crisi del debito sovrano in Europa ha preso avvio in Grecia, rialimentando la crisi finanziaria. Dall’estate del 2011 le tensioni si sono estese all’Italia.

All’ulteriore riduzione per le banche della raccolta di fondi sul mercato interbancario internazionale hanno risposto interventi straordinari di rifinanziamento della Banca Centrale Europea.

I tassi d’interesse sui titoli di Stato si sono portati su livelli molto più elevati di quelli dei corrispondenti titoli di altri paesi, in primo luogo la Germania.

Solo a seguito dell’annuncio, nell’estate del 2012, di misure di politica monetaria eccezionali, volte a contrastare ingiustificati ed eccessivi aumenti dei tassi di mercato nell’area dell’euro, le tensioni si sono ridotte.

Esse si erano, però, inevitabilmente propagate al mercato bancario, determinando un forte aumento del costo del credito ed una conseguente rarefazione dell’offerta.

Ciò si è riflesso, a sua volta, in un freno all’attività produttiva, protrattosi per oltre un triennio, risentendo anche delle non risolte difficoltà strutturali della nostra economia. Quando alle conseguenze della crisi si sono aggiunte, come avvenuto in più casi, strategie poco prudenti o malversazioni, il deterioramento degli attivi bancari, ha sottolineato il Governatore della Banca d’Italia, è divenuto grave.

Nel suo insieme, comunque, il sistema bancario italiano, non esposto alle attività tossiche, ha attraversato la prima fase della crisi pressoché indenne.

Lo ha confermato il Fondo Monetario Internazionale, nel settembre del 2013, allorquando ha espresso un giudizio positivo sul nostro sistema di vigilanza.

Tuttavia, a causa dell’eccezionale contrazione dell’economia italiana, le banche hanno ereditato una capacità reddituale ridimensionata ed un elevato ammontare di crediti deteriorati.

La Banca d’Italia segue costantemente l’evoluzione del rischio di credito e delle politiche di accantonamento delle banche. Verifiche sulla qualità degli attivi (Asset Quality Reviews, AQR) vengono condotte nell’ambito del processo di revisione e valutazione prudenziale (Supervisory Review and Evaluation Process, SREP), allo scopo di vigilare sul livello attuale e prospettico dell’esposizione al rischio di credito di ciascun intermediario.

In questo complesso contesto viene da chiedersi quale sia il motivo per cui il mercato dei crediti deteriorati non sia nel tempo decollato. La causa è da imputare all’ampia differenza esistente tra il prezzo a cui le banche sarebbero disposte a vendere i crediti in sofferenza ed il prezzo a cui gli operatori specializzati sono disposti a comperare (in gergo tecnico, spread bid/ask).

Le principali ragioni, alla base del grande differenziale tra il valore al quale le sofferenze sono iscritte nei bilanci delle banche e quello che operatori di mercato specializzati sarebbero disposti ad offrire per acquistarle, sono in larga misura riconducibili ai diversi criteri di valutazione impiegati.

I crediti esposti nei bilanci delle banche sono contabilizzati in base a delle regole fissate a livello internazionale (i principi contabili internazionali IAS-IFRS). Gli investitori, avendo una prospettiva economica diversa da quella delle banche, applicano, invece, differenti metodologie di valutazione delle sofferenze.

Sta di fatto che il mercato dei crediti bancari deteriorati è molto sottile e, pertanto, non esistono  quotazioni rappresentative. Peraltro, gli stessi crediti sono molto eterogenei quanto a tipologia, garanzie e grado di svalutazione.

A ciò si aggiunga che la valorizzazione di una posizione in sofferenza può essere profondamente diversa in funzione del tempo di recupero ipotizzato; variabile quest’ultima su cui incidono vari fattori, tra cui l’efficacia delle procedure interne della banca e l’efficienza dell’ordinamento giudiziario di un determinato Paese.

Muovendo da queste premesse appare evidente che la riduzione dell’elevato stock di crediti deteriorati non potrà che essere graduale nel tempo. Esistono, tuttavia, significativi spazi di manovra per accelerare il processo.

Le riforme del sistema bancario italiano approvate, già a partire dallo scorso anno, intendono perseguire l’obiettivo di elevare la qualità del governo societario, rafforzare la capacità di raccogliere capitali sul mercato e facilitare lo smobilizzo dei crediti deteriorati.  Soluzioni del tipo delle “bad bank”, accolte in numerosi paesi europei prima dell’adozione delle nuove regole sugli aiuti di Stato, non sono risultate praticabili in Italia.

L’abbattimento dello stock sarebbe, pertanto, possibile solo attraverso la cessione di sofferenze sul mercato. In questa prospettiva è destinato ad operare lo schema di garanzie cosiddetto GACS (acronimo di Garanzia sulla Cartolarizzazione delle Sofferenze), previsto dalla Legge 8 aprile 2016, n. 49, al fine di agevolare lo smobilizzo di tali crediti.

Si tratta, in estrema sintesi, di una garanzia che il Tesoro presterà agli operatori che ne faranno richiesta. Lo Stato garantirà soltanto le tranches senior delle cartolarizzazioni, cioè quelle più sicure, che sopportano per ultime le eventuali perdite derivanti da recuperi sui crediti, inferiori alle attese: non si potrà procedere al rimborso delle tranches più rischiose, se non saranno prima state integralmente rimborsate le tranches senior garantite dallo Stato. Il prezzo della garanzia sarà di mercato, come richiesto anche dalla Commissione Europea che, all’esito di lunghe discussioni con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha riconosciuto che lo schema non contempla aiuti di Stato, distorsivi della concorrenza.

Occorrerà del tempo per comprendere se lo schema di garanzia statale, con le sue incertezze applicative ed i relativi costi,  potrà realmente ritenersi  lo strumento risolutivo.

 

Giorgio Mantovano

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